Propaganda e mercato

Più mercato e meno Stato si diceva un tempo e forse, con l’ultraliberismo globalizzato degli anni Novanta-Duemila, si è esagerato. Ma non è che, per reazione, la ricetta equilibrata sia quella di tornare all’interventismo regolatorio e invasivo dello Stato. Magari sarebbe meglio, sulla scorta del sacrosanto principio di sussidiarietà, affidare alle parti sociali e alle istituzioni territoriali la gestione quanto più flessibile possibile delle aperture festive e domenicali dei negozi e dei centri commerciali. 

E, invece, anche in questo ambito i grillini e di rincalzo i leghisti sembrano mossi più dall’intento di piantare bandiere e paletti in funzione ideologica che dalla volontà di intervenire per affrontare, e eventualmente sciogliere, il nodo delle esigenze apparentemente contrapposte di consumatori, lavoratori e imprese. Ma poiché i fatti e la realtà sovente si incaricano di presentare il conto, il risultato del lavorìo parlamentare sulla nuova legge su orari e aperture dei negozi rischia di rivelarsi un pasticcio. Si è partiti, infatti, dalla proposta di ritorno a un drastico regime di chiusure, si è passati a un allargamento delle maglie, con l’aggiunta di ulteriori deroghe, e si sta per finire a un assetto non lontano dall’attuale, ma senza l’elasticità del sistema in vigore. 

Insomma, cambiare tutto per non cambiare gattopardescamente niente. Se non in peggio, come accadrebbe nella roulette delle deroghe regionali e comunali. 

C’è ancora tempo e modo, però, per evitare una soluzione che finirebbe per introdurre quantomeno confusione su confusione. La via maestra è quella di ammainare i vessilli della propaganda e affidarsi a una regolazione leggera, di cornice, per lasciare spazio alla più efficace e immediata disciplina di prossimità garantita dai tavoli regionali e comunali di concertazione tra parti sociali e istituzioni locali. 

È quello l’ambito più appropriato per assicurare dinamicamente la conciliazione di interessi e esigenze che, in caso di meccanismi rigidi, risulterebbero sacrificati o eccessivamente favoriti.