Una situazione pericolosa. La rabbia e le riforme mai fatte

Il Rapporto annuale del Censis è da oltre cinquanta anni la cartella clinica del Paese. Ne misura fa febbre e la pressione, le fibrillazioni e le pulsioni, l’energia vitale e i deficit. E alla fine di volta in volta, nero sui bianco, fissa una impietosa diagnosi: il risultato del check up, in questo dicembre "diciannovista", segnala un’Italia collassante che ha ampiamente perso la fiducia nella politica di una democrazia liberale e democratica, nelle istituzioni repubblicane e nello Stato, inteso come Pubblica amministrazione. C’è qualche "muretto a secco" che protegge malamente dal rischio di avventure, ma non si sa fino a quando. E, soprattutto, si fa fremente l’istintivo orientamento verso l’"uomo forte" che arriva e risolve, che non bada ai formalismi e alle etichette del parlamentarismo novecentesco ma decide rapidamente, che taglia lacci e lacciuoli di regole burocratiche vissute come ostacoli, impicci e impacci per la vita familiare o la propria impresa, che, magari sia, favorisce quelle attese, per sé e per i figli, stroncate dal tracollo degli ascensori sociali e dall’inabissamento del welfare pubblico. E’ questa torsione verso una figura palingenetica e salvifica, fuori dal circuito della democrazia rappresentativa, la cifra del report firmato dal più illustre clinico della società italiana, Giuseppe De Rita. 

C’è da preoccuparsi, dunque, ma le lacrime dei tanti, troppi, coccodrilli in circolazione non aiutano certo a tirare fuori il popolo impaurito e ansioso dagli illusori e pericolosi rifugi del passato. Servirebbe ben altro, a cominciare dal riconoscimento, da parte dei coccodrilli, del proprio fallimento, come classe dirigente incapace, negli ultimi trent’anni, di realizzare quelle riforme, massime e minime, che possono far sentire lo Stato meno ostile e, anzi, come facilitatore della propria vita quotidiana e come agevolatore delle proprie speranze.