Martedì 23 Aprile 2024

Rischio letale

Una volta si chiamavano bravate. Roba tra amici, pochi intimi, il protagonista e la sua clacque. Il rischio, l’adrenalina, l’applauso del bar. Poi vennero i social, e l’asticella si è improvvisamente alzata: a misura di pubblico. Più crescono gli spettatori, tanti, infiniti, più cresce la sfida. «La morte non ci fa paura», scriveva Andrea. E proprio lei, la signora in nero, lo ha aspettato su quel tetto, lo ha spinto in fondo a quel tubo in un buio senza ritorno. A conferma che la morte deve fare paura, che arriva da sola, non c’è bisogno di sfidarla. Così, di bravata in bravata, siamo ogni settimana a stilare un bilancio di queste giovani vite perse in modo assurdo. E a chiederci perché succede e come potrebbe non succedere o succedere meno. Dicevamo i social. Mica colpa di questa straordinaria invenzione che ha cambiato le relazioni umane, se poi gli uomini ne fanno cattivo uso. 

E passi se si arriva a postare il cappuccino e la brioche che stiamo consumando al bar, riscuotendo un successo straordinario di «mi piace», e un mare di consigli su dove trovare un cappuccio ancora più cremoso. La stupidità non è letale. Ma il rischio sì, può esserlo. Allora, proviamo a farci una domanda. Andrea si sarebbe messo in quella situazione, come già aveva fatto altre volte, o avrebbe sperimentato acrobazie estreme, se non fossero esistiti i selfie e un social in cui pubblicarlo, in cui mostrare al mondo il suo coraggio? Avrebbero lasciato come ultima immagine della loro vita un tachimetro che segnava duecento all’ora tanti ragazzi che un attimo dopo hanno perso il controllo della moto e sono morti? Ancora Igor, il quattordicenne rimasto strangolato in un gioco, una sfida mortale pescata dal web. Sarebbe ancora a scalare le sue montagne se non fosse rimasto affascinato da quella impresa estrema. Sia chiaro, qui non si tratta di criminalizzare uno strumento, la Rete, che ha fatto fare all’umanità un salto di mille anni. I giovani hanno sempre amato il rischio, e hanno sempre usato i mezzi a loro disposizione per mettersi alla prova. In Gioventù bruciata (1955), James Dean si lancia fuori dalla macchina un attimo prima che l’auto precipiti in un burrone. Un altro non ce la farà. Il problema è cercare di mettere regole, confini a un mondo nato senza limiti. Non per reprimere la libertà, ma a tutela della vita soprattutto dei più fragili. Non può bastare un clic su un sì per autocertificarsi maggiorenni. Non possono circolare siti con autentiche guide su come ammazzarsi. Non devono poter essere inserite immagini che inducono a rischi mortali. Tecnicamente tutto ciò è difficile, difficilissimo. È come transennare un oceano. Però, bisogna provarci. Intanto, cominciamo noi adulti a guardare più da vicino i nostri figli, per guidarli, non per giustificarli; cominciamo a dare un esempio di buon uso dei social, strumenti per stabilire relazioni, non per commentare la qualità di un piatto di spaghetti. Andrea non aveva paura della morte. Insegniamo ai nostri ragazzi che non è per un selfie che si deve finire nel buio della signora in nero.