Morire senza un perché. Dolore figlio della futilità del male

Che nome dare al male, all’azione per cui tre uomini sono morti lasciando famiglie, bambini, colleghi. Che catena di decisioni porta alla morte? Questa catena non si innesca e non è mantenuta attiva da nulla, bensì da una oscura decisione umana. In questo caso, come in molti altri, è una decisione umana a creare il disastro. Poteva dirlo che c’erano un innesco e una bomba pronta a esplodere. Non l’ha detto, non l’ha fatto. In questa decisione quante altre decisioni vivono, si realizzano. Quante dinamiche, sere passate a pensare, idee confuse, rancore si realizzano. Che nome dare a questo male? Se l’ideale della vita è la cupidigia di avere, se la vita si incasina intorno a questa unica idea che è una vera oscura idolatria, con risultati grotteschi poi come si vede in molti campi, può diventare come in questo caso la mano oscura che innesca la miccia, la futilità regna.

E innesca la morte. Innesca la strage, il dolore immane. E poi la retorica, il dolore pubblico, tremedamente vero e fasullo e non fasullo. L’immane dolore. Provocato da cosa? Un male a cui stentiamo a dare nome. Cupidigia? Ma anche superficialità, maledetta ricerca del comodo, e anche, chissà, invidia, paura o che altro. Tutti i nomi che diamo per spiegare il male in casi come questi si dimostra che non bastano. Il male è un mistero che si impossessa di uomini che peraltro appaiono logici, normali. I grandi poeti di tutta l’epoca moderna, da Leopardi a Baudelaire, hanno avvisato l’uomo moderno e contemporaneo che i nomi che stiamo dando al male non bastano. Non ascoltiamo i poeti? Allora ci tocca ascoltare attoniti la cronaca che ci parla di un uomo che sapendo che un ordigno sta per esplodere non lo dice, provocando la morte di tre poveri cristi. E il cuore piange e trema. E ci chiediamo: perché?