Giovedì 18 Aprile 2024

Truman, due amici e un cane. Il film che ha commosso la Spagna

Ironia e malinconia convivono nella pellicola di Cesc Gay che ha ottenuto cinque Goya, gli oscar spagnoli. Perfetto esempio di cinema che riesce a evitare i luoghi comuni

Roma, 22 aprile 2016 - Cave canem, ossia attenti al cane. Il suo nome è Truman ed è un bell’esemplare di bullmastiff, affettuoso e taciturno. In conformità con i toni del film di cui è co- protagonista, non abbaia, non morde e naturalmente parla al suo padrone ma la sua presenza non genera quella melassa che è il collante di tante pellicole in cui l’amico dell’uomo è al centro della vicenda. Truman, il film spagnolo di Cesc Gay reduce da un successo internazionale (in patria ha ottenuto cinque Goya, gli oscar spagnoli) appena uscito anche nei nostri cinema, parla di malattia, di rassegnazione e di speranza ma lo fa mescolando sapientemente dramma e commedia.

Al raggiungimento di questo mirabile equilibrio concorre proprio il quadrupede Truman la cui silenziosa consapevole presenza diventa il perno di una tragicomica avventura di amicizia e di emozioni, ora trattenute ora tumultuose, generalmente ardue da comunicare sullo schermo ma in questo caso empaticamente trasmesse allo spettatore. Quattro giorni, due amici e un cane bastano perché alcune grandi domande dell’esistenza - che generalmente ci si pone alla fine di una vita - possano essere affrontate mantenendosi all’interno di un perimetro in cui convivono ironia e malinconia.

Dalla neve del Canada, dove molti anni prima è emigrato e ha messo famiglia, Javier Càmara vola nella tiepida Madrid per fare una visita di qualche giorno all’amico Ricardo Darìn gravemente ammalato. Un’economia di gesti, parole e sguardi trasforma un iniziale apparente fastidio in un confronto serrato in cui i due (ri)entrano in sintonia, risvegliando affinità e affetti di un lontano passato di cui appena si percepiscono le eco. Ed è anche grazie a Truman se la gravità della situazione si stempera e una sottile allegrezza s’insinua nelle pieghe del dramma. L’energia emotiva rende ricche le quattro interminabili giornate che, da preparazione alla dipartita e al lutto, si trasformano in disponibilità a quello che la vita può ancora offrire e che non si misura in termini di tempo ma di intensità.

E tra una bevuta e una rievocazione, tra una passeggiata lenta e una chiacchierata penetrante c’è persino tempo per un soggiorno di qualche ora a Amsterdam per abbracciare un figlio distante. L’efficacia della sceneggiatura, abile nell’evitare il ricatto sentimentale in un quadro in cui commuoversi è quasi obbligatorio, s’accompagna a un gioco di attori che è davvero esemplare. Javier Càmara (indimenticabile in Parla con lei di Almodovar e oggi coprotagonista insieme a Jude Law del Papa giovane di Sorrentino) forma con l’argentino Ricardo Darìn (Il segreto dei suoi occhi, Storie pazzesche) un duo straordinario con cui lo spettatore per un’ora e mezzo ha quasi l’impressione di entrare in contatto personalmente Truman-Un vero amico è per sempre (cosi suona il sottotitolo italiano) è un melodramma maschio e maschile, formidabile esempio di cinema che ha saputo tenersi lontano dai luoghi comuni pur affrontando un tema che avrebbe potuto evocarli a gran voce. Anche per questo più che ammirevole.