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Viaggio nella crisi Ferrari /2 La squadraLeo Turrini - 16 maggio 2019

Viaggio nella crisi Ferrari.
È il momento di parlare della Squadra.
Faccio una premessa.
Alla fine dell’epoca aurea, ci fu notoriamente il Grande Esodo.
Per motivi diversi e in momenti diversi, staccarono la spina, con Schumi, anche Todt, Brawn, Byrne, Simon, Martinelli…
È passata una generazione e quindi non è il caso di tornare sulle motivazioni dei singoli. Chi se ne andò, chi fu invitato ad andarsene.
Non serve.
Cito la diaspora per ricordare che all’epoca Montezemolo decise, simbolicamente, di promuovere e valorizzare i numeri 2.
Domenicali. Almondo. Costa. Baldisserri. Mazzola, eccetera.
Io condivisi pienamente la scelta. La trovavo giusta e sensata.
Dopo pochi anni mi sono guardato attorno e a Maranello non se ne trovava più uno, dei nominati sopra.
Dieci piccoli indiani.
Anche qui, congedi in momenti distinti e distanti, storie personali non omologabili.
Comunque, la dispersione imperdonabile di un patrimonio umano e professionale (occhio, io questo l’ho scritto in tempo reale, ci sono gli archivi).
Tutto questo accadeva prima dell’avvento di Marchionne.
Marchionne arriva a fine 2014 e trova una struttura gerarchica piramidale. Si affida ad Arrivabene, gli fa fare il lavoro sporco (via Tombazis e via Fry, ad esempio) e comincia, sempre SM, a studiare la materia.
Io Marchionne un po’ l’ho conosciuto. Ci teneva da bestia a vincere in Formula Uno. E aveva, legittimamente, le sue idee.
Ben presto non condivise da Arrivabene.
A scanso di equivoci. Maurizio è stato leale con il suo presidente, anche se i due erano come l’acqua e l’olio.
Chiaramente, comandava SM. Il quale SM, sull’onda della delusione del 2016, se ne esce con la teoria della organizzazione orizzontale.
Marchionne me la spiegò così: in ogni mia attività io non ho mai creduto alla struttura verticale e rifiuto l’idea dell’archistar, cioè non andrò mai a cercare fuori il Mago con la bacchetta magica.
Dunque, fa fuori Allison (e nemmeno gli impone un lungo periodo di gardening, a Sergio non importava che si sistemasse subito in Mercedes) e per la sua filosofia orizzontale individua in Binotto, che nel frattempo aveva lavorato molto bene in area rilancio power unit, la figura giusta per la realizzazione del disegno.
Io, avendo notoriamente la faccia come il fondoschiena, osai chiedere a Marchionne se in realtà la svolta autarchica (traducibile nello slogan: abbiamo in casa tutto quello che ci serve) non fosse figlia di rifiuti raccolti qua e là da parte di ingegneri di grido.

Del resto, sapevo che il ministro degli Esteri del reparto corse, Ginone Skywalker Rosato, qualche sondaggio informale lo aveva pur fatto (per conto di Arrivabene).
Rimediai una rispostaccia che non trascrivo perché siamo in fascia protetta.
Ora, non svelo segreti asserendo che Arrivabene non condivideva al cento per cento questa strategia.
E scopro l’acqua calda affermando che nel 2017 e 2018 la Ferrari “Made in Marchionne” è stata competitiva e molto per lunghi tratti della stagione.
Nel 2017 ci fu un declino motore post estivo.
Nel 2018 dopo Monza fu persa la partita sul terreno degli sviluppi extra power unit.
Nel 2017, con Vettel leader del mondiale!, fu accantonato l’ingegner Sassi, cui si imputava un pu non all’altezza delle promesse.
Ovviamente Sassi è andato in Mercedes.
Nel 2018, dopo due vittorie in due gare all’inizio, incomprensibilmente venne deciso il dirottamento di Simone Resta, chief designer di auto funzionante, sul progetto Alfa, cui Marchionne teneva tantissimo (io sospetto che i suoi successori ci tengano meno, ma questo è un discorso che qui non interessa).
Le evoluzioni e le convulsioni hanno portato ad un team Binotto-centrico.
La caduta di Arrivabene, post mortem Marchionne, ha reso plasticamente visibile la suggestione dell’uomo solo al comando.
Molto solo.
A scanso di equivoci, io sono amico di Mattia da oltre vent’anni. Faccio il tifo per lui. E sono onesto quando affermo che per molti aspetti l’abbrivio desolante del 2019 non me lo aspettavo.
Mai creduto alle puttanate degli illusi (“Siamo in vantaggio!”) ma nemmeno immaginavo un simile flop. Flop per ora, il patriottismo ferrarista mi induce a precisare.
Non me l’aspettavo perché il gruppo è lo stesso del 2018. Gruppo tecnico, intendo (Arrivabene non faceva la macchina).
Unica eccezione, l’assenza di Resta.
Una perdita evitabile, scrissi allora.
Ripeto oggi, pari pari.
Ma, con tutto il bene che voglio a Simone, escludo se ne sia andato in Alfa con la bacchetta magica nella valigia.
Riassumo.
Binotto governa la struttura voluta da Marchionne. Sulla base di scelte, individuali e strategiche, pienamente condivise dall’attuale team principal, dt e già che c’è capo a interim dell’area comunicazione.
Trinotto.
Le energie disponibili sono quelle interne, salvo ribaltoni.
Il gruppo è mediamente giovane. Ingegneri in gamba, animati da grande dedizione alla causa.
Solo che la SF90, sempre per ora patriotticamente parlando, non va.
E della macchina parlerò la prossima volta.
(Continua)