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Un saluto a un grande ferrarista (ciao,Elio)Leo Turrini - 15 giugno 2020

Come taluni tra voi fortunatamente hanno mostrato di comprendere, questo piccolo luogo per me è un rifugio dell’anima.
È un riparo, minuscolo, contro le tempeste della vita.
Scrivo quello che mi va e quello che mi pare. Rispetto chi non condivide la mia opinione, a patto che l’educazione mai venga meno.
E allora oggi, lunedì 15 giugno 2020, sono qui per salutare per l’ultima volta un amico carissimo.
Uno che non ci sarà, quando il 5 luglio scatterà il Triello Hamilton-Verstappen-Leclerc.
Ancora poche settimane fa, dal letto della sofferenza estrema, mi aveva scritto un messaggio: ma quale Triello!, io faccio il tifo per Vettel.
Elio Gamberini doveva compiere 77 anni. Era il fondatore di uno storico Ferrari Club, a Castiglione Olona, nel varesino.
Sapete, la mia esistenza di zingaro mi ha portato a vagare per continenti. Era il mio sogno di bambino: vedere cose da raccontare agli altri. Mi hanno pagato per realizzarlo. E per questo mi considero un privilegiato, non per il successo avuto o per i soldi guadagnati.
Hockenheim, estate del 1994. Un sabato. Dopo anni di cocenti delusioni, finalmente la Ferrari era tornata ad occupare la prima fila a fine qualifiche, con Berger e Alesi.
Ero giovane, avevo 34 anni. Ero stanco ma felice per il risultato. A sera mi appoggiai stremato al bancone del bar dell’hotel. Una voce alle mie spalle disse in italiano: guarda quel tizio come sta incazzato, sarà un motorista della Williams Renault o della Benetton Ford…
Mi girai divertito e risposi: mi dispiace, sono modenese e parlando di F1 erano anni che non ero così contento!
Nacque così una amicizia di vita con Elio, che mi aveva scambiato per uno straniero. Davanti a una birra mi raccontò la sua storia: era in Germania con uno dei figli, non prendeva aerei ma in auto non saltava mai il Gp tedesco o il glorioso appuntamento di Spa. Da giovane, sempre in macchina, andava pure a Brands Hatch.
La sua passione era uguale alla mia. Siccome adorava le Ardenne, mi faceva sempre una testa così: devi convincere il tuo amichetto Montezemolo a prendere Schumi, cosa sta aspettando?
Ovviamente io non ho avuto bisogno di persuadere nessuno e non dimenticherò mai quelle notti felici in Belgio, al seguito delle imprese di Schumi.
In compenso dissi a Montezemolo che a Castiglione Olona c’era un Ferrari Club che meritava di essere accolto in fabbrica a Maranello, per una visita speciale. Fu un momento di felicità pura.
Eh, quanti detriti affiorano tra gli scogli della memoria! Elio e la sua famiglia, i figli meravigliosi, Zio Bello e Silvia, l’ingegnere che mai ho capito se di cognome faccia Ceruti o Cerruti o Cerrutti ma è un’altra persona fantastica.
Le notti di Hockenheim, le serate di Spa, le risate alla cena sociale prima di Monza, un rito durato mezzo secolo, fino al settembre scorso.
Sì, è passata una vita e mentre passava io avvertivo il senso di una gratitudine che è emozione pura, perché è stata la Ferrari, con le sue grandezze e con le sue miserie, a rendere possibile un incontro che ha contribuito a dare un senso alla mia povera esistenza.
L’ultima volta che ci siamo parlati a voce, Elio mi ha detto: non lo so mica se ce la faccio a reggere fino al 2028, la data che tu hai indicato sul blog per il prossimo mondiale Rosso.
Gli ho risposto: vabbè, dirò a Leclerc di sbrigarsi.
E lui: meglio se ti rivolgi a Vettel.
Ci proverò con entrambi, amico mio troppo presto perduto.