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Tanto a Montecarlo vince sempre luiLeo Turrini - 14 aprile 2020

Spero tutti bene.
Nel 1990 andavo a Montecarlo per la seconda volta.
La prima, nel 1989, aveva rappresentato per me uno shock. Fin lì, avevo sempre visto in tv le scene del Gran Premio.
Trovarcisi in mezzo suscitava però reazioni impreviste ed imprevedibili.
Ad esempio, in maniera del tutto involontaria mi ero imbattuto in un noto faccendiere dell’epoca, un ladrone in guanti gialli, ampiamente ricercato dalle forze dell’ordine, in quanto latitante per reati finanziari. Ma il Principato non concedeva l’estradizione e il tizio in questione si spupazzava nei paddock due signorine a pagamento, immagino un tanto al chilo.
Di colpo mi venne in mente un corsivo del mitico Fortebraccio. Costui da deputato Dc era diventato comunista, in tempi in cui i voltagabbana in Parlamento non esistevano, se non per autentici casi di coscienza.
Ora, Fortebraccio scriveva da Dio e un giorno raccontò di avere partecipato ad una assemblea di azionisti della Montedison. Lo aveva fatto, spiegò agli sbalorditi lettori dell’Unita’, per calcolare non i dividendi, ma quanti cellulari, intesi come furgoni, sarebbero serviti per portare in galera tutti i ladri in circolazione a Piazza Affari.
Era un ragionamento un po’ crudo ma io lo recuperai in mezzo a quel troiaio monegasco. Poi mi ricomposi e tornai ad occuparmi delle piccole cose mie.
Tra l’altro nel 1990 a Montecarlo io sperimentavo per la prima volta il personal computer del giornale. In redazione avevamo quelli fissi dal 1985, ma ora si debuttava con lo strumento da trasferta.
Altro shock!
Addio Olivetti, addio macchina da scrivere. Fine del rumore dei miei polpastrelli sui tasti. E aumento esponenziale dei tempi di lavoro, perché all’inizio trasmettere era una avventura, c’erano cavi e cavetti da sistemare ovunque, si passava dalle linee telefoniche fisse, ogni due per tre la connessione cadeva, eccetera.
Un delirio.
Mi soccorse la saggezza di un meccanico della Ferrari, Paolino Scaramelli. In una pausa del giovedì gli raccontai i miei affanni tecnologici ma lui mi rassicurò.
Stai tranquillo, mi disse l’uomo che aveva visto piangere il Drake la notte della morte di Gilles. Stai tranquillo, puoi scrivere l’articolo con largo anticipo, tanto qui si sa già chi vince.
Ayrton.
Per me è stata verità di fede. Dal 1989 al 1993, le mie prime volte a Montecarlo, ho sempre visto lo stesso pilota in trionfo sul palco dei Grimaldi.
Lui, Senna.
Sempre con la McLaren, sia pure con motorizzazioni diverse. Era imbattibile e stop. Era come se il brasiliano si identificasse con quel tracciato sghembo, con quello sgorbio di lay out, con il tunnel, con i marciapiedi, con la Rascasse, con la piscina.
Magic.
Debbo dire che alla vigilia noi della Ferrari ostentavamo una cauta fiducia. Qualcuno cominciava a dire che era stato un errore non avere trattenuto John Barnard a Maranello ma Barnard, nella sua genialità, aveva tratti da autentico mitomane.
Una volta eravamo insieme a far la fila per il check in all’aeroporto. Era come avere accanto un marziano. Di più: un venusiano. Cui, aggravante!, non piaceva il lambrusco.
Comunque nel 1990 a Monaco la Ferrari rimediò una figuraccia non a causa della assenza di Barnard.
Prost, che era in prima fila subito dietro ad Ayrton, fu tamponato in fretta da Berger. Caos, parapiglia, corsa interrotta. Il Professore riparte con il muletto, allora si poteva. Non avrebbe mai vinto, Senna quel giorno lo vedevi solo con il binocolo. Ma poteva guadagnare buoni punti, il francese. La Rossa lo lasciò a piedi, per noie tra batterie e cambio.
Mansell, idem.
E per una volta, a sera inoltrata, sul porto, il Professore e il Leone were still talking, stavano parlando insieme con Fiorio, scuro più di una notte senza stelle in un borgo senza elettricità del Turkmenistan, e con gli ingegneri.
Intanto Senna godeva.
Chi vince festeggia, chi perde spiega (cit.).
Quando finalmente riuscii a trasmettere l’ultimo articolo della domenica con il grosso pc, un amico mi sussurrò che Jean Alesi, eroicamente secondo con la Tyrrell, aveva già firmato un pre contratto con la Ferrari per il 1991.
Ma non era già d’accordo con Frank Williams?, chiesi ingenuamente.
Se è per questo, mi si disse, il ragazzo ha un impegno anche per restare alla Tyrrell.
Andiamo bene.
(Continua)