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Seb (e Kimi) tra demonio e santitàLeo Turrini - 24 giugno 2018

Sempre più spesso mi capita di essere d’accordo con Vettel.
Ha ragione. In partenza è stato lui a commettere un errore e lo ha pagato a caro prezzo. Mi scoccia molto, ma non sapremo mai, causa questo autogol, fino a che punto la Ferrari sarebbe stata in grado di reggere il confronto con una Mercedes in possesso del motore nuovo e su gomma limata.
Peccato, ma sono abbastanza vecchio per capire che anche i campioni possono ritrovarsi tra demonio e santità. Io spero solo, dal profondo della mia ignoranza, che adesso non rispuntino fuori come funghi I tipi che rimproverano a Seb una preoccupante fragilità psicologica.
Avercene, di piloti fragili come lui. Poi, quando uno sbaglia, sbaglia. E lo ammette, come ha fatto Vettel.
Solo una cosa a proposito della penalizzazione di cinque secondi. Non ha influito minimamente sul risultato finale, però a me pare che il contatto tra il tedesco e Bottas rientrasse nella casistica del classico incidente di gara. E poi, vogliamo piloti o caporali?
Su Raikkonen, salito sul podio presumo all’insaputa dei suoi detrattori, mi limiterò ad un’affermazione della quale rivendicò la piena paternità. Ecco qua: se Kimi cominciasse a camminare sulle acque, salterebbe all’istante fuori qualcuno ad accusarlo di non saper nuotare. E con questa abbiamo chiuso, direi.
In generale, è stata, per un ferrarista, una domenica non felice. Ma è anche vero, a saper leggere tra le righe del risultato, che poteva, davvero, andare peggio. Adesso Hamilton ha 14 punti di vantaggio. E ci sono 13 gare ancora da disputare.
Tra demonio e santità, basta che ci sia posto (cit.).