custom logo
Schumi, sua figlia e l’ItaliaLeo Turrini - 12 novembre 2019

Ho provato anche io, credo come tanti, una fitta d’emozione vedendo Gina Maria Schumacher su un cavallo bardato di Rosso.
Forse non sempre, attraverso gli anni, siamo stati capaci di intuire il sentimento che lega la famiglia del Campionissimo alla Ferrari e all’Italia.
Badate che non c’è nulla di scontato, in questo. In fondo, Schumi ha dato tantissimo a tanta gente. Sotto forma di gioie da salotto a milioni di appassionati. Ma anche come contributo ad alcune fortunatissime carriere (elenco lungo, che potranno compilare i lettori curiosi).
Questa riflessione, a ridosso del Gran Premio del Brasile, dove Michael gareggiò in modo memorabile per l’ultima volta da ferrarista nel 2006, questa riflessione, dicevo, mi ha restituito un frammento di memoria.
Spesso ho sostenuto che, pur avendo avuto il privilegio di vivere in presa diretta tutta la sua carriera, da Belgio 1991 a Brasile 2012 (tra parentesi: è un segno del degrado post moderno imbattersi in chi di Schumacher non sa niente, l’ha visto solo in tv e però pretende di spiegare a uno come me chi era Schumacher: è la dittatura dell’ignoranza e qui chiudo felicemente parentesi), ecco, io non posso affermare di conoscere l’essere umano che era così bravo al volante di una monoposto. Per la semplice ragione che il diretto interessato, al contrario di un Senna, si negava al prossimo nella dimensione privata.
Scelta rispettabilissima è pienamente legittima, con coerenza tutelata dalla famiglia anche in questi lunghi anni di muto dolore.
Però, insomma.
Ci fu una volta in cui una fessura si aprì.
Primavera 2004. Vigilia del Gran Premio di San Marino. Il comune di Fiorano decide di conferire la cittadinanza onoraria a Schumi. A me viene chiesto di condurre la cerimonia, nel teatro del paese.
Due ore prima dell’evento c’erano code chilometriche fuori dal locale.
Tutti i fioranesi erano lì. Del resto Schumi, dalla fine 1995, era la colonna sonora della loro vita. I test erano liberi e dalla pista il fragore della Ferrari da Gran Premio entrava nelle loro case. A volte anche dopo il tramonto, perché Michael non la smetteva mai di girare.
Prima dello show, un uomo sempre simpatico come un crampo allo stomaco quando hai fame e come un callo sotto un piede quando devi correre una maratona mi si avvicina furtivo.
Jean Todt.
Il Pinguino.
Sbrigativamente ordina, con voce alla ispettore Clouseau: Turrini non faccia l’imbecille, niente domande cattive e soprattutto a Michael si rivolga in inglese, lo sa che lui non ama esprimersi in italiano.
Come Garibaldi rispondo obbedisco al monarca.
Si accendono le luci.
C’era la folla appiccicata alle pareti. Accatastata in ogni angolo.
Fu un attimo.
Io ebbi come l’impressione che Schumi, dal palco, avesse colto quel battito collettivo.
Era come se la gente di Fiorano volesse dirgli: ehi, sei uno di noi, sei un nostro conterraneo, siamo qui perché ti vogliamo bene, anche se ci fracassi i timpani da quasi dieci anni!
Io, alla Garibaldi, gli feci la prima domanda in inglese, preparandomi a tradurre anche la risposta.
Schumi per un istante rimase muto. Poi iniziò a parlare.
In un italiano perfetto.
Lo stava facendo per i suoi nuovi concittadini. In teatro scoppiò un pandemonio. A volte un briciolo di felicità ti sazia all’improvviso.
È passata una vita e di sicuro questa storia l’ho già raccontata.
Non importa, questa è casa mia e sono le cose belle e pure che aiutano ad immaginare un futuro migliore.