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Quel che manca nel film sulla 312 BLeo Turrini - 11 ottobre 2017

Sono andato a vedere il docufilm sulla Ferrari 312 B.

Poteva non piacermi?

E infatti mi è piaciuto molto.

Mauro Forghieri per me è uno zio acquisito e di Paolo Barilla, che è andato a ritrovare il gioiello nelle lontane Americhe (peccato che questo passaggio sia ignorato, nel racconto su grande schermo!), sono amico da quando correva in F1 con la Minardi.

Faccio prima a dire quale sia l’unica cosa che manca, nell’opera cinematografica.

Il contesto.

Non già quello strettamente automobilistico, che è ben descritto dagli interventi di personaggi come Ickx, Stewart e Lauda.

No: come spesso succede quando si raccontano Ferrari e ‘le’ Ferrari, anche qui sfugge il senso dell’epoca.

Mi spiego.

Il Drake e Furia prima pensano e poi realizzano una monoposto tanto affascinante sul finire degli anni Sessanta. In un’Italia devastata dalla contestazione, sull’orlo degli Anni di Piombo (la strage di Piazza Fontana è del 12 dicembre 1969), mentre l’industria metalmeccanica è stravolta dalle contestazione operaie, dagli scioperi selvaggi, eccetera.

Eppure, questi due uomini non si fermano e inventano un capolavoro di creatività, insieme a tute blu che per amore delle corse, d’intesa con i sindacati!, non fermavano mai il lavoro nel reparto dedicato alle competizioni.

Il vero miracolo sta qui! Cioè, non si capisce Ferrari e non si capisce la Ferrari se ci si limita esclusivamente all’emozione di una macchina.

Così come (ci pensavo ricordando con commozione, davanti al film, che la vittoria di Regazzoni a Monza nel 1970 con la 312 B coincide con la mia prima memoria ‘televisiva’ di un Gp, avevo dieci anni) è struggente, anche nel depresso presente del Triplete asiatico, prendere atto che la magia immortale della Ferrari sta nella resilienza.

La 312 B non vinse mai il mondiale.

Tra il 1964 e il 1975 ci furono undici anni di digiuno iridato. Ho l’età per rammentarli.

E poi il buco nero 1979-2000.

Oggi l’ossessione post Kimi 2007.

Se non si comprende questo, non si afferra il filo dell’eternità che avvolge lo spirito ferrarista.