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L’Ungheria, Marchionne e i ‘suoi’ pilotiLeo Turrini - 26 luglio 2018
  1. Si capisce che emotivamente non potrà essere un Gran Premio “normale”, quello ungherese.
    Per questo, meglio parlare di memoria da corsa.
    Mansell.
    Quando vinse con la Rossa nel 1989, partendo da dietro.
    In pista il Leone era un sovversivo. Coltivava sempre un istinto insurrezionale.
    Io lo adoravo.
    E mi fece molto piacere, nell’agosto del 1992, assistere dal vivo alla sua prima e unica incoronazione iridata.
    Faceva un caldo porco.
    Mansell era zuppo di sudore. Senna, che aveva rocambolescamente vinto la corsa, gli allungò un asciugamano e gli disse: te lo meritavi, il mondiale non da oggi.
    Sapete, a volte penso che ho partecipato come testimone a vicende esaltate da personaggi che non ci sono più, che sono andate via troppo presto.
    Un anno fa.
    La felicità di Marchionne per quella doppietta Vettel/Raikkonen, gli unici piloti della breve presidenza. Forse la domenica più allegra della sua gestione.
    E lui voleva bene ad entrambi i driver, come dimostra il fatto che la coppia non la cambiò’ mai. Perché il presidente Sergio ascoltava spesso, leggeva tanto, non di rado compativa e alla fine decideva da solo.
    Per il meglio, su parecchie cose.
    Eh, già. Era una delle cose per le quali andavamo d’accordo.
    Questo non sarà, all’Hungaroring, un Gran Premio come gli altri.
    Chi vuole se lo può raccontare qualcosa.