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La Ferrari e un pilota chiamato StalinLeo Turrini - 28 settembre 2018

Come sempre, i numeri e i dati di un venerdì da Gran Premio vanno presi con le molle.
A volte sono indicativi di una tendenza non modificabile.
A volte no.
La mia fede ferrarista mi incoraggia quindi a sperare che i risultati delle prove libere di Sochi non siano poi così attendibili. È già capitato nell’arco della stagione.
Così come mi è capitato spesso di ricordare che in Formula Uno (a maggior ragione in un campionato di ventuno gare!) lo sviluppo continuo è fondamentale.
Comprendo che i miei amici cospirazionisti non amino una suggestione tanto banale, eppure succede. Il team A ha un vantaggio perché ha trovato una soluzione in anticipo sulla concorrenza poi il team B ti copia e il margine si riduce o addirittura si azzera.
Ci sta.
Comunque vedremo e vedrete. In Russia la Ferrari non ha mai vinto, eppure esiste e resiste una gustosa leggenda metropolitana, della quale ho parlato nei miei fortunati libri.
La recupero in breve auspicando porti buono.
Nel 1951, piena Guerra Fredda, erano tanti gli operai della Ferrari che votavano per il partito comunista.
Così un giorno i compagni metalmeccanici andarono dal Drake e gli dissero: noi vorremmo che lei regalasse una sua macchina al Maresciallo Stalin, padre della rivoluzionaria Unione Sovietica.
Ferrari rispose: si può ma in gran segreto e voi in cambio dovete promettermi che gli operai del reparto corse non faranno mai sciopero perché io alle gare debbo partecipare con le mie vetture sempre e comunque.
È storicamente dimostrato che al reparto corse scioperi non ce ne furono più.
Quanto alla Rossa del dittatore Rosso, è agli atti che quando negli anni Sessanta la Fiat aprì una fabbrica in Russia a Mosca un ministro disse: conosciamo già la tecnologia automobilistica italiana grazie ad una macchina che sta nel nostro garage al Cremlino. Mentre a Maranello Ferrari commentò: “I torinesi arrivano sempre secondi”.
Mettiamo Stalin al posto di Raikkonen e a Sochi una doppietta non ce la nega nessuno.