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La Ferrari e l’ultima vittoria di MarchionneLeo Turrini - 8 luglio 2019
  1. Un anno fa.
    Gran Premio d’Inghilterra.
    L’ultima vittoria di Sergio Marchionne nei panni di presidente Ferrari.
    Non sapevamo.
    Non potevamo sapere.
    Rammento che un po’ mi colpì non fosse arrivata una dichiarazione del numero uno della azienda, a corredo dell’impresa.
    Era però successo anche poche settimane prima, in Canada.
    Immaginai che, banalmente, Marchionne non aveva più bisogno di auto celebrazioni, visto che Seb ormai vinceva spesso.
    E invece la verità era tristemente diversa.
    Dodici mesi dopo la scomparsa di un personaggio che, qualunque sia il giudizio sul suo operato, certamente ha cambiato la storia delle relazioni industriali in Italia e non solo in Italia, dodici mesi dopo la morte, dicevo, in questa sede a me interessa una valutazione sul suo operato in veste ferrarista.
    Un poco ci eravamo conosciuti, grazie alla cortesia di Stefano Lai.
    Marchionne non sapeva granché di Formula Uno. Era un mondo, anche fatuo, che a lungo aveva osservato da lontano, anche con un certo fastidio (gli eccessi di talune retribuzioni manageriali non lo lasciavano indifferente, per dire).
    Aggiungo che talune sue convinzioni (l’organizzazione orizzontale, la valorizzazione delle risorse interne alla azienda) non so quanto abbiano retto alla distanza (anche perché, in sua assenza, è venuta meno l’energia per implementarle, certe scelte).
    In compenso, di una cosa sono sicuro.
    Sergio alla Ferrari da Gran Premio teneva tantissimo.
    Forse per necessità, visto che aveva usato i flop in pista per mandare a casa Montezemolo.
    Ma ci teneva, io credo, anche perché si era innamorato del giocattolo.
    Il fastidio che provava dinanzi alla dittatura Mercedes era autentico. Così come non erano di parata le esternazioni nelle quali manifestava, anche platealmente, un disagio schietto dinanzi a modi e parole dei concorrenti.
    Beninteso, non vengo qui a proclamare che con Marchionne presidente Vettel e Leclerc sarebbero in vetta al mondiale.
    Mica funziona così. L’uomo ha commesso errori, il suo rapporto con Arrivabene era spesso inutilmente conflittuale quando un grande capo per essere tale deve anche saper delegare.
    Ma queste considerazioni non alterano la verità ultima.
    Dico invece che mi piacerebbe riscontrare, nei successori, la stessa partecipazione, lo stesso attaccamento alla causa.
    Per ora, non ci siamo.