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La Ferrari e il Sacro Graal della affidabilitàLeo Turrini - 5 marzo 2019

L’affidabilità, cos’era costei?
Ora, io non sono Alessandro Manzoni, cui ho rubato, storpiandola, la citazione iniziale.
Meno che meno e per fortuna Mattia Binotto può essere paragonato al Dottor Azzeccagarbugli.
In Ferrari questi giorni che avvicinano a Melbourne vengono vissuti con una legittima…ansia da prestazione.
A Barcellona, tra tubi di scarico, sistema di raffreddamento e cosucce eletttriche, beh, si è rotto qualcosa di troppo.
L’antico slogan (meglio prima che poi, meglio nei test che in gara) funziona sempre, ci mancherebbe. A maggior ragione in questa circostanza. Però Binotto, nelle dichiarazioni di venerdì scorso, è stato esplicito. Avrei voluto una macchina più affidabile: parole dirette, che non si prestano a strumentalizzazioni.
Mi tocca aggiungere che, più si alza il livello della sfida, più l’ossessione su pezzi “estremi” si fa sentire. E se dovessimo prender per buoni i cronometri del Montmelo (tre millesimi tra Vettel e Hamilton, tre millesimi a gomme uguali e presumibilmente con lo stesso carico di carburante, anche se vai a saperlo…), ecco, se prendiamo per buoni i tempi si comprende l’esasperazione da dettaglio.
A Maranello la verifica del controllo qualità è sempre stata un mantra dai giorni di Todt, sebbene non siano mancati i buchi neri (penso alla agghiacciante estate del 1996 ma anche alle candele e ai candelabri da requiem dell’autunno 2017).
In Australia, di sicuro, sarà un week end da vivere in apnea, fino all’ultimo metro.
Perché it’s not over until is over (questa non è del Manzoni, ma è perfetta per rendere l’idea di uno stato d’animo, all’interno del reparto corse).