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Il Marchese del Grillo era ferraristaLeo Turrini - 30 marzo 2020

Spero tutti bene.

Continuo la narrazione delle rocambolesche vicende del mondiale F1 del 1999.

Il processo di Parigi.

Place de la Concorde.

La ghigliottina.

Luigi XVI.

Il mio regno per un deflettore.

Ah, la Ville Lumiere!

L’avevo scoperta ragazzo nel 1978.

Nozze d’argento dei miei genitori.

All’epoca Gilles guidava da poco la Ferrari e una sera al Trocadero mi ero imbattuto in una ragazzina canadese pazza per Villeneuve.

Aveva le lentiggini.

È strano come talvolta dal fiume della memoria affiorino detriti dolcissimi.

Ma adesso siamo nel 1999.

Udienza davanti a cinque giudici di appello della Fia.

Linea di difesa della Ferrari: noi siamo noi e voi non siete un cazzo.

Il Marchese del Grillo era uno dei nostri.

Parte lesa numero uno: la McLaren. Tesi: noi rappresentiamo i valori dello sport e della lealtà. Italiani mafia, pizza, mandolino e spaghetti.

Sempre simpatici, eh.

Parte lesa numero due: la Stewart.

Tu dimmi cosa c’entra un team che fra un mese manco ci sarà più, si chiamerà Jaguar e per giunta avrà al volante Eddie Irvine.

C’entra, ha risposto Jackie Stewart a Ciuffo, cioè Montezemolo, che gli aveva chiesto di chiamarsi fuori dal processo.

Ma io sono scozzese, aveva replicato Jackie. Con le squalifiche da deflettore, i miei piloti Herbert e Barrichello in Malesia finiscono sul podio e son soldi, amico mio.

Pecunia non olet, va mo la’.

È venerdi mattina. Sono arrivato a Parigi la sera prima. Sono suonato come una campana.

Business as usual.

I giudici sono di cinque nazionalità diverse.

Il Marchese del Grillo, pardon, la Ferrari, schiera un avvocato francese e un avvocato svizzero.

Certo che la Fia è un mondo a parte.

Processo rigidamente a porte chiuse.

Non vedi niente. Non ascolti niente. Non puoi guardare in faccia i legali. Niente.

Dunque, cosa diavolo ci faccio, qui?

Quasi quasi faccio una scappata al Louvre.

Frenata brusca di macchina italiana in zona ingressi sede Fia.

Da una botola collocata accanto ad una portiera dell’auto sbuca il Pinguino.

Jean Todt.

Nero come la pece.

Poi si materializzano Ross Brawn e Nigel Stepney. Portano una sacca.

Pare che dentro ci sia il deflettore.

Infine.

Infine ed è incredibile perché sono si’ e no le nove della mattina, ecco Irvine.

Montezemolo ha deciso che Eddie doveva assistere alle fasi iniziali del dibattimento. Giusto per ricordare ai signori giudici che alla fine della fiera qui poi parliamo di uomini, cioè va bene ‘sta minchia di deflettore, ma la Formula Uno è una storia di uomini.

Saluto Eddie da lontano. Fa un cenno svagato con la mano.

Non ha dormito da solo, sono pronto a scommettere.

Parigi in autunno è bellissima. E poiché di sicuro per ore e ore non ci diranno niente, prendo una decisione.

Camminerò a piedi fino al Tunnel dell’Alma. È lontano, ma ho tempo. È il luogo in cui, nel 1997, ha perso la vita Lady Diana.

Sono strani gli intrecci della vita!

Nel 1993, avevo scritto un articolo raccontando la storia di una relazione tra la Principessa e un tecnico della Lotus. La vicenda aveva fatto scalpore ed essendoci di mezzo un team di Formula Uno mi avevano chiesto di occuparmene.

È il mio mestiere, talvolta sgradevole. Non sempre sono riuscito a rispettare la privacy altrui, anche se ho sempre cercato di starci attento. Ma ho sbagliato. Non solo con la Principessa.

Cammino e cammino e cammino. Sono di rientro a Place de la Concorde a metà pomeriggio.

La Fia doveva avere inventato il distanziamento sociale già ventuno anni fa.

Manco ci offrono un caffè.

Ma si sa qualcosa? Filtra qualcosa?

No. Zero.

Pare che alla fine delle audizioni il Pinguino si sia dileguato passando da un tombino.

Todt era molto accigliato.

Circolano voci clamorose, tra i cronisti.

Sembra che Ross Brawn abbia mulinato il deflettore a mo’ di clava sulle teste dei cinque giudici.

Si mormora che Irvine, in uno scatto d’ira, abbia detto a un membro della corte: si ricordi che io mi sono trombato pure sua figlia.

Pare che Ron Dennis abbia comprato una fotocopiatrice ma la userà solo nel 2007.

Sera.

Alle 18 un messo federale prova pena per noi e annuncia: ite missa est, la sentenza verrà resa nota domattina, i giudici si sono ritirati per deliberare.

E me li immagino i giudici in stile Forum di Canale 5, eccoli lì che pasteggiano a champagne e fra una aragosta e un po’ di pate’ d’oca esclamano: ah, però quel deflettore forse rientra nel margine di tolleranza, passami il foie gras, ecco, ma sarà vero che tua figlia se la spassava con quel matto di irlandese? Cameriere, un’altra bottiglia di champagne, sì, grazie.

Molto più modestamente, io stavo cenando in un bistrot su Rue de Rivoli.

Fu l’Armagnac finale ad esplodermi come un bengala tra le cellule neuronali residue.

Margine di tolleranza!

Come avevo fatto a non pensarci prima?!?

(Continua)