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Il caffè di Alonso e una Ferrari che vinceLeo Turrini - 16 giugno 2019

Sull’esito di Le Mans, sul titolo di Alonso e su una Ferrari che vince lascio la parola al cloggaro writer Emi Emi.

EMI EMI SCRIPSIT.

Una  umida e grigia mattinata a Le Mans.

Il Prode Fernando ridotto al rango di stagista aziendale con due caffè in mano da portare ai capi del momento al muretto dei box. La faccia sembrava proprio quella. Non dei giorni migliori. Anche davanti ai microfoni poca voglia di parlare, sforzandosi di non apparire spagnolicamente malinconico come un piatto di paella mal riuscito, magari mordendosi la lingua per l’ennesimo “GP2 engine” in agguato che, rivolto al solito giapponese di turno avrebbe tuonato, con una nuova e inappellabile scomunica papale.
No.
Non era la Le Mans di Nando, Nakajima e Buemi. Non lo è mai stata. Cambiavano musi e gomme ma non la sostanza. La vettura gemella di Kobayashi, Conway e Lopez è stata più veloce. Per 23 ore. Più forte della seduta collettiva di ginnastica mattutina tenuta dal presidentissimo Tomoyama insieme ai vari componenti della squadra presenti in quel momento tra le pareti del box Toyota.
Ma a un’ora dal termine Lopez impreca alla radio come colpito a morte dall’atroce beffa di un destino avverso.
“I have a puncture”.
Ho una fortura.
Non è così.
Lo dice un sensore sul dispaly del volante, che sta mentendo (anch’egli senza saperlo…)spudoratamente ai telemetristi giapponesi.
“I have a puncture”. E una sosta improvvisa ti ricaccia lontano dal successo, perdendo una Le Mans per 17 secondi dopo 24 ore di competizione.
Non esiste nessuna foratura reale.
Solo un sensore che invia alla centralina un messaggio d’errore.
Decide la gara. Decide lei chi vince. Una di quelle leggi non scritte che grazie al pilota Roberto Lacorte ho imparato essere parte stessa di Le Mans. Vale anche per il BOP, (Balance Of Performance) quando sembra azzoppare sulla carta le Ferrari in GT PRO rispetto agli squadroni Ford e Porsche. Ma la 488 Evo come un calabrone che non dovrebbe nemmeno volare non lo sa e corre per tutta la gara alla pari delle sue più performanti avversarie . Così il Cavallino rinnova i suoi fasti a Le Mans, a distanza di 70 anni da quella sua prima vittoria sulla Sarthe per opera dell’oriundo Luigi Chinetti con la 166 S.
A quanto pare meglio di una SF90…
Alonso, in questo modo è nuovamente campione del mondo a 13 anni di distanza da quel suo secondo e ultimo mondiale vinto in Formula 1 con la Renault mettendo in bacheca pure un altro successo sulla Sarthe.
Belle notizie insomma.
Dovrebbe essere felice Nando.
Invece no.
Torna (come lui desiderava) sul tetto del mondo. Senza nemmeno esprimere un briciolo di quella gioia così a lungo inseguita lontano dai Gran Premi di Formula 1.
Tutta colpa di un caffè mi dico, portato in una grigia mattinata francese al muretto di un box.
Sul circuito di Le Mans.