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Hockenheim e la Ferrari, 25 anni dopoLeo Turrini - 20 luglio 2019

Continuano a chiedermelo ovunque metta piede.
Beh, ma la Ferrari quando tornerà a vincere?
In questo periodo rispondo che è difficile indicare una data ma accadrà, l’uomo è andato sulla Luna, battere le Mercedes non può essere più complicato, dai.
Mi compatiscono, gli interlocutori, con gentili pacche sulle spalle.
Al che io aggiungo: ma guardate che l’ultima vittoria con Kimi risale a meno di un anno fa e invece io rammento un digiuno durato dall’autunno del 1990 all’estate del 1994.
I giovanissimi, contagiati dal virus Leclerc, mi guardano come un nonno rimba.
Andò così.
Una domenica a Jerez, 1990. Doppietta Rossa. Primo Prost secondo Mansell, riconciliati almeno in apparenza dopo il disastro dell’Estoril.
Ero lì e mi sovviene che la domenica sera, guidando sulle stradine andaluse per tornare in hotel, ascoltavo una cassetta di Springsteen e mi dicevo: questo Tunnel of Love ci porterà altre vittorie e in fretta.
Ciao.
One step up and two steps Back.
Arrivammo a un sabato di luglio del 1994 senza mai toccare palla. Una agonia logorante.
Fino alle qualifiche di Hockenheim.
Prima fila tutta Ferrari.
Berger e Alesi.
Caldo africano.
Rientro stravolto in albergo, mi appoggio esausto come Fantozzi al bancone del bar e ordino una birrona gelata modalità rutto libero.
Alle mie spalle sento una voce in italiano che fa: guarda quello lì com’è conciato, deve essere un motorista della Renault, è incazzato perché l’abbiamo bastonato, finalmente.
Mi volto e borbotto: veramente io sono italiano, sono ferrarista e dopo quasi quattro anni spero di avere qualcosa da celebrare domani.
Nacque una amicizia formidabile, che ancora oggi mi onora: mi avevano preso per un tecnico Renault un padre e un figlio, i Gamberini, originari di Castiglione Olona, rappresentanti di uno storico Ferrari Club.
Il giorno dopo vinse Berger.
Ho ricostruito l’episodio, un quarto di secolo dopo, perché le cose belle rimangono, le emozioni autentiche resistono all’usura del tempo.
E poi la Formula Uno sta per tornare giusto ad Hockenheim.
Io non ci credo, lo confesso, ma se Mattia Binotto celebrasse lì il suo primo successo da team principal (tale è e si considera, avendo da tempo ripartito le aree tecniche tra i noti Jotti, Cardile e Sanchez, con Resta come sapete sull’auto 2021), beh, sarebbe bello.
Se no, aspetteremo.