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Ferrari e Ducati, la generazione perdutaLeo Turrini - 12 agosto 2020

C’è una generazione perduta.
È la generazione del Tramonto Rosso. Sono passati ormai tredici anni. Una vita.
Era il remoto 2007 quando i simboli emiliani dell’Italia da corsa celebrarono insieme l’ultimo sigillo iridato. Kimi Raikkonen campione del mondo in Formula Uno con la Ferrari. E Casey Stoner campione del mondo in MotoGp con la Ducati.
Tramonto Rosso, davvero. Cosa è successo, poi? Perché l’autostrada dei sogni aveva come sbocco il deserto della frustrazione?
Tredici anni di digiuno segnano una generazione. Il bambino che allora cominciava a frequentare la prima elementare, oggi sta per iniziare l’Universita’. Avendo, da tifoso, soltanto sconfitte da raccontare.
Tramonto Rosso. In contesti diversi e con leggende differenti da onorare, io romanticamente penso la Ferrari e la Ducati esprimano una certa idea della creatività nazionale. Sono aziende che appartengono a minuscole realtà territoriali (rispettivamente, Bologna e Borgo Panigale). Eppure, sono testimonial di un irriducibile orgoglio patriottico. Anche in tempi di corporations, di sedi trasferite in Olanda, di Borsa, di proprietà teutonica e bla bla bla.
Domanda: perché non vincono più? Perché la mancanza di prestazioni in pista trascina nel gorgo della delusione personaggi come Seb Vettel ed Andrea Dovizioso, per anni candidati alla consacrazione mondiale su quattro e su due ruote?
Eh, conoscessi la risposta cambierei mestiere, farei il team principal dell’una e dell’altra! Di sicuro, colgo qualcosa di opprimente, nella lunga sequela di amarezze agonistiche. Un pessimista potrebbe argomentare che persino la Ferrari e la Ducati sono lo specchio di un Paese, l’Italia, inesorabilmente in declino.
Invece, perdonatemi l’ottimismo della volontà, io credo sia vero il contrario. Maranello e Borgo Panigale rimangono i fiori all’occhiello di una tradizione che non deve arrendersi ai disagi del presente.
In compenso, mi auguro che il bambino del 2007, oggi iscritto alla università, non debba aspettare la laurea per festeggiare il ritorno al successo dei nostri miti a 300 all’ora.
Ps. S’intende, parlo della laurea lunga, non della triennale. Infatti mi sa che per tre anni ancora, uhm…