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Cosa debbo a Sandro MunariLeo Turrini - 14 gennaio 2022
  1. Faccio fatica a contenere l’emozione quando penso a Sandro Munari.
    Come tutti ho saputo dalla moglie delle sue precarie condizioni di salute. E come tutti faccio, ancora e sempre!, il tifo per lui.
    Sandro appartiene al repertorio dei miei ricordi in momenti e per motivi diversi.
    All’alba degli Anni Settanta, quando transitavo dalle elementari alle medie, Munari era un idolo generazionale.
    Lui nei rally, al volante della Lancia (HF, credo) sulle curve del Col de Turini, era come i gol di Gigi Riva, gli slalom di Gustavo Thoeni, le pedalate di Felice Gimondi.
    Un riferimento assoluto.
    Quando Enzo Ferrari chiamò Munari a vincere la Targa Florio del 1972, insieme ad Arturo Merzario, passai una domenica pomeriggio ascoltando le notizie su Radio Rai, che poi all’epoca era l’unica radio, a onde medie.
    E la Stratos?
    E le delusioni del Safari?
    A volte penso che chi è nato molto dopo di me abbia sì la gioia dei troll su Internet, povere infelici teste di cazzo protette dal nickname, e via delirando.
    Ma che cosa si sono persi?!?
    Mi si obietterà: sei un barbogio nostalgico.
    Infatti lo sono e non me ne frega una beata mazza.
    Dopo di che, finita la carriera sua, Sandro è diventato un cordiale amico.
    Ha fatto il dirigente della Lamborghini, ogni tanto ci siamo trovati e io gli domandavo come era il rumore della Stratos su una curva ghiacciata e lui sorrideva, faceva “vroom vroom” con la bocca e a me bastava, mi stava restituendo i sogni della adolescenza.
    Infine.
    Infine per anni io e Munari siamo stati colleghi.
    Non ero Mannucci, il suo primo storico navigatore.
    Però per tanto tempo, sulle colonne del Resto del Carlino, al lunedì post Gran Premio la sua firma appariva accanto alla mia, Sandro era l’opinionista dal divano di casa.
    E per me e’ stato un grande motivo di orgoglio.
    Tieni duro, Drago.