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Binotto gronda bonomìa da tutti gli artigliLeo Turrini - 17 maggio 2020

Considerazioni finali su Seb Vettel e la fine di un amore, quello tra lui e la Ferrari.
In un certo senso, era già tutto previsto.
In una altra epoca geologica, estate 2018, agonia di Sergio Marchionne in corso, Seb disse pubblicamente (forse lo ricordate) che avrebbe preferito tenersi accanto Kimi per altri dodici mesi, aggiungendo che a Leclerc non avrebbe fatto male un altro annetto in Alfa.
Non lo ascoltarono (se interessa, a parer mio, che pure sono raikkoniano, fecero bene a non ascoltarlo) e da lì fu chiaro che Seb a Maranello non era più visto come un leader indiscusso ed indiscutibile. Mi chiesi allora: ma a Schumi sarebbe potuta accadere una cosa del genere, tipo “voglio teniate Irvine” e invece Todt gli metteva in casa un altro?
No.
S’intende che poi sulle conclusioni attuali hanno pesato gli eventi, in pista e fuori, del 2019. Carletto ha mostrato cose grandi e ha persuaso la proprietà di una cosa che dovremo verificare: lui è The Chosen One, il Predestinato.
Non ti fanno un contratto fino al 2024 (e ti mettono in Accademia pure il fratellino, eh) se non credono ciecamente in te. Da John Elkann a Camilleri, passando per Binotto, vero artefice della soluzione finale.
Binotto è un tipo che gronda bonomìa da tutti gli artigli.
Visto il caos da pandemia non gli sarebbe dispiaciuto congelare il presente, cioè Vettel-Leclerc, a tutto il 2021, quando si correrà ancora con le regole vigenti. Ma Seb chiedeva un impegno pluriennale, anche perché non pensa affatto di essere più scarso di Carletto e quindi voleva giocarsela alla pari. Senza data di scadenza a breve, tipo mozzarella.
Era, inevitabilmente, un dialogo tra sordi. L’amore non c’era più, l’interesse reciproco poteva esserci ancora ma una separazione aveva se non altro il pregio di salvaguardare i ricordi belli, che pure ci sono.
E qui arrivo al Binotto che gronda bonomìa da tutti gli artigli.
Essendoci sempre stato, non sfugge al team principal il dato storico.
Alonso più Vettel.
2010-2020.
Zero tituli.
E non è stata colpa di Fernando e non è stata colpa di Seb. Nel senso che tra il 2010 e il 2020 la Ferrari non ha mai prodotto una monoposto dominante. Ha avuto talvolta una vettura vincente, ma dominante mai.
Ora, è passata una generazione, tra il 2010 e il 2020. Tra Alonso e Vettel, di mezzo ci sono presidenti, team principal, direttori tecnici, ingegneri. Un gigantesco frullatore non ha fatto prigionieri. Andate a leggervi la lista, dalla “A” di Allison e Arrivabene alla W di What is happening here, cioè ma che diavolo sta accadendo qui, anzi è già accaduto a Maranello, se ci siamo fumati Alonso e Vettel e ripartiamo da Sainz (di cui mi occuperò prossimamente, a me Carlitos non dispiace) accanto a Carletto, totale meno di dieci podi in due?
Forse è accaduto, lasciatemi sperare!, che l’alibi del campione al volante come garanzia di successo finalmente è stato smascherato. O forse no (già ci sono segnali…) se presto in Ferrari ricadranno nel mantra del “ma Leclerc è un fenomeno e ci penserà lui”.
Schumi era un Fenomeno, ma nel 2005 lo doppiavano.
Ultima cosa, solo su Seb.
A me piace come driver e come uomo. So quanto ci teneva a vincere in Rosso e so che ce l’ha messa tutta. Rimpiangerà a lungo l’estate del 2018 e a lui va tutta la mia gratitudine.
Non sempre il destino è gentile con le belle persone.