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Binotto e il 2016, Elkann e il gol della bandieraLeo Turrini - 29 aprile 2019
  1. Non sempre la Storia è maestra.
    Eppure, qualcosa si può sempre imparare, dal passato.
    Anche recente.
    Io credo che Mattia Binotto si stia confrontando con la sindrome del 2016.
    Mi spiego.
    All’inizio di quella stagione, una grande fiducia accompagnava la Rossa.
    Forse gli amici cloggari che si pregiarono di partecipare alla cena di premiazione del Quizzone per l’annata 2015 (a proposito, siamo sempre in ritardo di ben due cerimonie, ehm ehm) serberanno memoria della atmosfera.
    A tavola con noi c’erano Maurizio Arrivabene e il ministro degli Esteri del Cavallino, il leggendario Ginone Rosato.
    Ben motivata sembrava la convinzione che Vettel e Raikkonen avrebbero avuto la macchina buona per giocarsi il titolo.
    Figuratevi cosa ho provato quando a Melbourne Seb andò al comando durante il primo giro.
    Ma si rivelò soltanto una illusione ottica.
    Per diverse settimane, andammo avanti a raccontarci che ormai in Ferrari avevano capito quale fosse il problema, che era solo una questione di ottimizzazione, che bastava individuare la finestra d’utilizzo, eccetera eccetera.
    Soltanto dopo Montreal, dopo un ennesimo tentativo di fuga da parte di Seb, subentrò la rassegnazione.
    Zero tituli.
    Zero vittorie.
    Badate, non voglio spaventare nessuno.
    Tra l’altro in quell’annus horribilis accaddero cose molto dolorose. James Allison perse in modo tragico la moglie, ci furono conseguenze pratiche oltre alla catastrofe umana.
    Di quel 2016 io rammento il lento, inesorabile sgretolarsi della speranza.
    Lo rievoco per esorcizzarlo. Ma è giusto essere consci che non può essere facile raddrizzare una stagione cominciata male.
    Di sicuro Binotto (che in un ruolo diverso c’era anche nel 2016, mentre non ci sono più Arrivabene, Allison, Sassi…) è in buona fede quando afferma di credere nella bontà del progetto chiamato SF90.
    Aggiungo sommessamente che, come al solito, io non condivido le esasperazioni in stile calcistico. Tra esoneri, licenziamenti e dimissioni si somiglia al Palermo di Zamparini, mica alla Mercedes.
    Un’ultima cosa sulla esternazione finale, a Baku, di John Elkann.
    Imparerà a fare il presidente della Ferrari, mettiamola così.
    La sua soddisfazione per il giro veloce di Leclerc vale come compiacimento per il gol della bandiera quando la tua squadra di pallone sta perdendo 4-0.
    A meno che Elkann non sappia cose che io non so.