custom logo
Australia, culla del mito HamiltonLeo Turrini - 20 marzo 2018

Dicevo ieri di Melbourne e dei miei ricordi.

Insisto, anche perchè fatico ad appassionarmi alla storia di Horner che attacca la Ferrari perchè ha assunto un tecnico della Fia (il bue che dà del cornuto all’asino) e del resto arrivati a questo punto non resta che aspettare la pista, il fumo sta per diradarsi, di arrosto ce ne sarà solo uno.

2007, già ne ho accennato.

Un Gran Premio storico per tante ragioni, innanzi tutto perchè noi ferraristi veri ci sentivamo un po’ orfani, essendo il primo dopo dieci anni senza Schumi.

Erano contenti soltanto gli anti schumacheriani in servizio permanente effettivo. Michael, per dirla con franchezza, stava sulle scatole a numerosi addetti ai lavori (e ai livori). Molti degli anti erano italiani, ca va sans dir.

Normale, anche Senna divenne amatissimo post tragedia.

E però Melbourne 2007 entra nella mia memoria anche perchè vidi per la prima volta, sull’asfalto, Lewis Hamilton.

Me ne avevano parlato. Si sapeva da tempo che la McLaren aveva ingaggiato Alonso, prevedendo di affiancargli un debuttante. Un rookie. Nero.

Rammento perfettamente l’esternazione di un collega connazionale che qui non nomino per carità di patria. Mi disse il venerdì delle libere: Fernando farà polpette di questo sconosciuto, di questo Hamilton mandato allo sbaraglio.

Ah, se a scuola avessero insegnato l’arte del tacere!

Io di Lewis non sapevo nulla, se non che era un pupillo di Ron Dennis, che era stato allevato dalla scuderia e che aveva una venerazione per Ayrton.

Il venerdì andai per curiosità ad appostarmi in un angolo dell’Albert Park.

Volevo farmi un’idea.

Mentirei se dicessi di avere capito.

In realtà, da uno sguardo su una curva non capisci mai niente. Si narrano leggende su questa o quella staccata, ma il valore di un pilota lo afferri, forse, seguendone il ritmo giro dopo giro, T1-T2-T3 e a volte nemmeno questo è sufficiente per comprendere.

Ma alla domenica, nel primo Gran Premio della carriera, fu chiaro che il Rookie Nero non era lì per caso. Lasciamo stare la McLaren che era una Ferrari clonata, valeva anche per il suo compagno di squadra, campione del mondo in carica e pluridecorato.

Eppure, il debuttante Hamilton aveva chiuso terzo, non lontano dal capitano ufficiale.

Fin lì, ci poteva anche stare.

Ma era sera e stavo mangiando in un ristorantino a St.Kilda ed ero contento perchè Raikkonen aveva vinto con la Ferrari, in trionfo al primo show con il Cavallino.

Incrociai un amico inglese.

Costui, francamente, era sull’ubriaco andante, doveva avere annaffiato le bistecche di coccodrillo con damigiane di vino bianco e gli inglesi con il vino, insomma, ci azzeccano poco (non solo con il vino, eh).

Scansai l’alito da strage e gli dissi: beh, non è male questo vostro Hamilton.

Lui trattenne un rutto di soddisfazione ed esclamò: pensa che non è contento.

E perchè non è contento?, domandai ingenuamente io temendo un’altra scarica alcolica.

Perchè, rispose il beone, è convinto di andare più forte di Alonso e non sopporta di essergli arrivato dietro.

Fu allora che compresi.

Forse a Melbourne 2007 avevo visto esordire un Grande.

O un mito in embrione.

O un mitomane conclamato.

Adesso, oltre dieci anni dopo, lo so.

Buona la prima, di supposizione.