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Al Pacino, De Niro e la Ferrari sulle ArdenneLeo Turrini - 25 aprile 2020

Spero tutti bene.
Come cantavano i Righeira, notoriamente ferraristi, l’estate sta finendo e un anno se ne va.
Equivoci perniciosi avevano caratterizzato le vicende in casa Ferrari.
Non solo si era disintegrata la super coppia Prost-Mansell.
Trattative più o meno credibili con Senna, Alesi e Nannini avevano reso irrespirabile l’aria intorno a Maranello.
Non si riusciva a capire bene chi comandasse.
Non era chiara la rotta.
L’unica certezza veniva da Ayrton. Era ferocemente motivato, il brasiliano. Non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla vendetta.
Che naturalmente è un piatto da gustare freddo.
Alla fine di agosto andammo sulle Ardenne.
Io potrei descrivervi ogni centimetro di Spa Francorchamps.
Stavelot.
Malmedy.
Il capriolo che una notte mi tagliò la strada mentre uscivo dal circuito e rimase fermo a fissare i fari della mia automobile.
Il giro di pista a bordo di una Honda di serie. Al volante c’era Senna.
L’edicola all’angolo della strada che portava al parcheggio dietro il paddock.
Le mele buonissime che distribuivano in sala stampa.
La Eau Rouge.
Il senso di essere nel tempio della passione.
Le Ardenne.
Tutta l’acqua che ci ho preso. Eppure, non mi sono mai spento.
E insomma il Gran Premio del Belgio del 1990 vide addirittura tre partenze e però, fossero state anche quattro, la sostanza non sarebbe cambiata.
Senna versus Prost.
Prost versus Senna.
Due titani.
Era meraviglioso vederli combattere. Nel loro duello, così aspro e non di rado cattivo, c’era un fondo struggente di romanticismo.
Quante volte abbiamo conosciuto persone così, storie così?
Io mi sentivo umanamente più vicino ad Ayrton ma avevo una ammirazione totale per Alain.
E poi il francese guidava la Ferrari e la Ferrari aveva vinto l’ultimo mondiale quando ancora affrontavo l’esame di maturità, nel 1979.
Erano già passati undici anni (nel 2020 stiamo già a tredici, questo per rendere l’idea di cosa stavamo passando, prima del dilagare del virus).
Quella gara sulle Ardenne fu la fotografia esatta dei valori in campo.
Senna non sbagliava mai.
Prost, neanche.
Solo che si diceva che Alain fosse troppo prudente nei doppiaggi, rispetto al brasiliano.
O Cauteloso, appunto.
Solo che anche questa era una esagerazione.
Un giorno Michael Mann, il grande regista di Hollywood, mi fece avere la sceneggiatura di un film che avrebbe voluto girare.
Un film su Enzo Ferrari.
La storia era fantastica, i dialoghi strepitosi. Il periodo prescelto era la fine degli anni Cinquanta.
Non se ne fece niente per ragioni che adesso non ho voglia di spiegare ma a me è rimasta la voglia di chiedere al grandissimo Mann se e quanto di Senna e di Prost ci fosse nel suo capolavoro.
Heat.
1995.
Al Pacino versus De Niro.
La scena pazzesca del ristorante.
Quando i due, detective e criminale, scoprono di avere in contatto molto più di quanto avessero immaginato.
E l’epilogo, quando De Niro, colpito a morte da Al Pacino, allunga la mano al rivale, come se volesse farsi accompagnare nel regno delle ombre.
Senna e Prost, uguale.
E intanto quella domenica sulle Ardenne la McLaren del brasiliano precedette la Ferrari del francese di una manciata di secondi.
Ci aspettava Monza e una finta tregua.
“Che ne dici, te lo prendi un caffè con me?”
“Perché no?”
Buona domenica a tutte e a tutti
(Continua)