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Al Castellet, 30 anni dopo AlesiLeo Turrini - 19 giugno 2019

Andai al Castellet nel 1989.
Trenta anni fa.
Era un giovanotto credulone e romantico.
Infatti pensai: ah, chissà quante volte ci tornerò.
Mai più messo piede (nel 1990 ero a Roma, finale mondiale Germania-Argentina, mentre Prost rimontava Capelli per la vittoria Ferrari numero 100. Poi ci inflissero Magny Cours).
Dicevo del Paul Ricard.
C’era il vento che portava la sabbia del mare.
E c’era Ken Tyrrell.
Io lo adoravo.
Aveva la faccia piena di pugni, forse da ragazzo si era scazzottato molto dopo notti in taverna a parlare di femmine.
Era stato il partner del leggendario Stewart. Aveva visto morire Cevert.
Soprattutto, nella mia fantasia era il costruttore che aveva osato spedire in pista una macchina da Gran Premio con sei ruote.
Sei ruote.
Scheckter ci aveva addirittura vinto un Gp in Svezia, nel 1976.
Chi ha il dono della giovinezza non può capire cosa fosse l’automobilismo quando scatenava la fantasia estrema dei progettisti.
Lo so, lo so.
Ridicola è la nostalgia.
Ma stavo parlando, a proposito di nostalgia!, di 30 anni fa.
Incrocio Ken che fa: ah, cronisti, qui faccio debuttare un oriundo italiano, un siciliano di Francia.
Jean Alesi.
Comprai un giornale francese per vedere che faccia avesse.
Andai a parlare con questo Alesi.
Simpaticissimo.
In gara, la domenica, un fenomeno.
Quarto.
Meno di due anni dopo stava a Maranello.
Acclamato.
Coccolato.
Mio amico.
Mi scorgeva nel paddock e si metteva a gridare: Turro mi raccomando, oggi vietato scrivere cazzate.
Ho sempre pensato che Giovannino avrebbe meritato sorte diversa.
Cioè una Ferrari migliore.
Per cinque anni, non ebbe mai la macchina da mondiale.
Chi ci ricorda?
Eppure, la gente lo adorava.
Io, anche.
“Turro, oggi vietato scrivere cazzate”.
Mai smesso, mon cher ami.