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Addio a Gimondi, mio eroe ferraristaLeo Turrini - 16 agosto 2019

Interrompo la pubblicazione delle risposte per salutare un caro amico giunto all’ultimo traguardo.
Felice Gimondi.
Non a tutti capita di incontrare gli idoli dell’infanzia.
Quando io ero bambino, stravedevo per Enzo Ferrari, per Sandro Mazzola e per lui, il ciclista bergamasco figlio di una postina, l’Ettore di Merckx che era Achille, l’eroe buono e generoso spesso inevitabilmente destinato alla sconfitta.
Felice Gimondi era anche la mia biglia preferita sulla spiaggia, in quegli anni Sessanta favolosi nonostante i loro tanti difetti.
Poi sono diventato grande.
E sono stato fortunato.
Nessuno dei miei miti dell’infanzia mi ha deluso, al contatto vero.
Di Enzo Ferrari e del mio rapporto con lui sapete, in questa sede.
A Mazzola sono debitore di una amicizia da lontano, bella perché gratuita.
E Gimondi mi ha regalato momenti di Grazia indicibili.
Tra tante piccole cose, nel 2005 (l’anno deve essere quello) venne a Sassuolo, il mio paese, per un evento.
Io lo intervistavo e gli feci, tramite Elio Giusti, meraviglioso dirigente del Cavallino, una sorpresa: a Maranello, in Ferrari, lavorava come ingegnere uno degli eredi della famiglia Salvarani, gli industriali che avevano lanciato Felice nel ciclismo.
Gimondi se lo ricordava bambino, non lo aveva più visto.

Li feci incontrare e così ebbi modo di scoprire che il mio idolo di infanzia era un grande tifoso delle Rosse.

Regalai a Felice, nell’occasione, un ritratto in rame di lui con Coppi e Bartali. Era un’opera di mio cognato, poi stroncato da un tumore.

Gimondi la teneva nel suo ufficio, in bella vista. Era come un filo, fra noi.
E infatti nel 2016 ricevo una telefonata.
Vorrei visitare la Galleria Ferrari a Maranello: mi faresti da guida?
Fu una delle più belle giornate della mia vita.
Non so se riesco a spiegarmi, in questo mondo di haters, cretini da web che funestano ogni spazio di libertà, purtroppo anche questo mio minuscolo giardino.
Ma insomma.
Io che racconto una storia, quella del Cavallino, alla leggenda dei giorni della mia innocenza.
Bellissimo.
Irripetibile.
E in mezzo il senso di tante cose. Gimondi battuto spesso da Merckx ma mai perdente, perché la rassegnazione non esiste. Gimondi che fa piangere mio padre il 2 settembre del 1973, quando incredibilmente vince il mondiale e in casa ci siamo solo io e papà e lui dice, “eh, forse siete stati voi bimbi anni Sessanta a spingere la biglia oltre il traguardo”.
Gimondi che mi chiede di Vettel e di Raikkonen e io che penso che sono stato fortunato, da piccolo avevo eroi che non mi hanno tradito mai.
Ciao, Felice.
E grazie di tutto.