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A Suzuka, con un altro pilota tedescoLeo Turrini - 4 ottobre 2017

Ogni tanto mi diverto.

Con la Memoria.

Mi diverte molto sentir descrivere l’attuale stagione di Seb Vettel alla stregua di una collezione di errori. Caratteriali. Dovuti ad un eccesso di impulsività. Eccetera.

Pensando io esattamente l’opposto, simili ricostruzioni somigliano ad una vecchia barzelletta.

Insomma.

1998, Suzuka.

Un altro pilota tedesco al volante di una macchina Rossa.

Nemmeno quella Rossa era la miglior vettura in pista, così come spesso nel 2017 non lo è stata la SF 70 H.

Eppure c’era chi asseriva che con quella Ferrari il signor Michael Schumacher, fosse stato al’altezza del ruolo, avrebbe dovuto vincere il mondiale.

Per default, suppongo.

Così arriviamo all’ultima tappa in Giappone e Schumi era lì a giocarsela, perchè era rimasto aggrappato al campionato con il suo talento e con il suo coraggio (ricordo una vittoria stupefacente in Ungheria, per dire).

A Suzuka Michael sta in prima fila ma alla partenza qualcosa si inceppa e nonostante un tentativo di rimonta il titolo se lo piglia Hakkinen.

E succede che qualcuno osa raccomandarmi di scrivere che di uno Schumacher così la Ferrari deve liberarsene, perchè parliamo di uno che non riesce a controllare l’emotività e ce l’hai presente Jerez e mettiamoci pure che non sa partire…

Ovviamente io scrissi esattamente l’opposto e poi si è visto come è andata a finire, eh.

A prescindere dall’epilogo iridato del 2017 e con quasi due decenni in più sul groppone, sommessamente sono convinto il tempo sarà galantuomo.

Ancora.