di Riccardo Jannello
Il Giramondo viaggia per scoprire e conoscere ciò che c’è dietro le apparenze e per questo parte armato di curiosità.
Ogni cosa che incontra può diventare nella sua immaginazione una storia, un pezzo del puzzle che si chiama vita che è spesso diversa da come vorremmo ma, insistendo sui suoi volti e sugli angoli delle strade e dei parchi, la si può anche adattare alla nostra esigenza, al nostro desiderio. Se poi l’immaginazione porta il Giramondo ben oltre la realtà non importa, c’è sempre un modo per esprimere speranze e sensazioni da condividere.
Quando Gianluigi Schiavon viaggia si porta dietro in egual misura il mestiere del giornalista e quello del narratore di sogni e quando racconta lo fa con delicatezza e mostra delle persone e dei luoghi ciò che noi non vediamo. Basta poco, un batter di ciglia, e il vecchietto dell’angolo diventa un personaggio ideale per una storia, magari surreale, così come lo diventa alla stessa misura il ponte di Brooklyn, che non ha occhi ma di storie ne può raccontare tante. Basta saperle ascoltare.
Giramondo è appunto il titolo del nuovo libro di Schiavon appena uscito per Giraldi con la prefazione di Roberto Giardina. L’autore alterna sapientemente nella sua produzione racconti, romanzi ed epigrafi, e nella maggior parte dei casi è proprio il viaggio, dentro e fuori di sé, il tema del suo narrare. Che si tratti della Francia del commissario Bertot, della sua amata Swinging London, della calda Rio o della fredda Oslo che nella sua penna diventa anch’essa bollente.
In questo volume molto raffinato lo stile è quello del racconto, in cui rappresenta una società poliedrica, ma in fondo sempre legata all’uomo, personaggio ineludibile in ogni storia.
Stavolta sono quarantaquattro piccole gemme colte al volo con l’occhio indagatore del giornalista e con la spensieratezza dello scrittore. Basta un incontro e il luogo e la persona diventano perfetti per un sogno, per un’interpretazione di ciò che è e di ciò che poteva essere: “Stavros il greco fissava il mare e i suoi settantun anni riflessi nelle onde che, sospinte dalla risacca, tentavano di staccarsi dalla costa troppo ospitale di Santorini per far ritorno a Nea Kameni, l’isola del vulcano. D’altra parte, lì tutto era iniziato, lì tutto sarebbe finito, compreso il suo frammento di destino personale, nel perpetuo movimento dell’universale disgregarsi, agli dei piacendo”.
E da questo schizzo impresso nella tela come quello di un pittore naturalista, può nascere di tutto, ciò che Stavros è ed è realmente stato e ciò che il pescatore avrebbe potuto essere e forse neppure lui l’ha capito. E chissà se il professore di storia antica Diomede Pizzolungo creda davvero che la moglie Elena se ne sia andata o se sia lui ad averla perduta per sempre, come si perdono i miti greci in una Sicilia assolata e arida o come si consumano i drammi sociali nella Vucciria del disonore e della mafia.
Il viaggio del Giramondo è un viaggio che non ha una fine, perché noi stessi non vogliamo che il nostro viaggio finisca. E ognuno di noi ha un luogo dove riposare: anche ’in nessun posto’, lo stesso che li accoglie tutti. L’importante è essere come l’esploratore Jonathan Ventura “di nuovo pronto”. Ogni viaggio lascia un ricordo: per questo il lettore troverà infilata tra le pagine del libro una cartolina.
© Riproduzione riservata
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