Rieccoci, scusandoci per il ritardo. Tra podcast preolimpico e Giochi di Parigi con relativa rubrica epistolare siamo stati un po’ impegnati.
Torniamo da Parigi con il cuore e gli occhi pieni soprattutto per la medaglia d’oro vinta dalle ragazze della pallavolo femminile.
Il buonumore è passato subito, vedendo le miserie che hanno fatto seguito al rientro delle ragazze, il murale dedicato alla Egonu imbrattato e via discorrendo (di razzismo).
Qui parleremo solo di volley, almeno stavolta. Come saprete, credevamo molto in Velasco come figura di riferimento per sbloccare una situazione paradossale e autolesionista nella quale la nazionale femminile si era andata ad infilare. Onestamente l’oro va oltre i nostri sogni, ma una delle poche certezze che avevamo, a maggior ragione dopo aver visto lo staff che la federazione aveva concesso a Julio, era che la nazionale avrebbe lottato per il podio.
Adesso viene il bello. Velasco ha dimostrato di aver imparato dal passato, conoscendolo da tempo possiamo testimoniare che era un Julio molto diverso quello che ha gestito tutta la grande avventura azzurra, stavolta. Attento a non trasmettere mai la minima tensione, bravo a parlare anche (forse soprattutto) a se stesso quando cercava di allontanare la pressione che la squadra si era procurata soprattutto vincendo la Vnl. Il Velasco dei primi anni incendiava gli animi, quello di questi mesi ha capito che serviva di più, a questo gruppo, acchiappare e distrarre i fantasmi delle ansie personali e collettive. E c’è riuscito benissimo, anche grazie all’apporto operativo di due assistenti come Massimo Barbolini e Lorenzo Bernardi, due che nessuna altra squadra poteva vantare e che avrebbero fatto da secondi giusto a Julio.
Bene, ma il bello arriva adesso. E anche il difficile.
Velasco ha cambiato la storia della nostra pallavolo già una volta, all’inizio degli anni novanta. Il volley maschile vive ancora di rendita su quei successi, ma non li ha sfruttati appieno, non sono l’unico a pensarla così.
Le ragazze potrebbero farcela, invece, perché il bacino di riferimento è diverso e non aveva mai vissuto un momento così esaltante in uno sport di squadra. Ma ovviamente adesso dipende tutto dai dirigenti, federali, di Lega e della base, trasformare un successo sportivo sul campo in una vera eredità per il futuro, quando il clamore si poserà e le azzurre non saranno più invitate dappertutto perché oggi sono alla moda (nella foto sotto la bresciana Anna Danesi allo stadio di Brescia).
Velasco ha fatto pure troppo, direi. Non si merita che il suo secondo miracolo vada sprecato.
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