C’è stato un tempo in cui tutto era più umano, e il Covid non c’entra. C’è stato un tempo in cui noi giornalisti potevamo avere un rapporto più diretto con gli sportivi di cui raccontavamo le gesta. In alcuni casi è ancora così, in alcuni sport soprattutto, ma una volta era più facile con tutti. Perché non c’erano le barriere dei diritti tv e degli addetti stampa, non c’erano i social, non c’erano tante cose che hanno cambiato il nostro mondo, non sempre in meglio.

Sembra un post nostalgico, e infatti lo è. Perché la morte di Piero Molducci, dopo lunga malattia, mi ha riportato indietro nel tempo, alla prima volta in cui lo vidi giocare, fine anni ottanta. E a una serata spassosissima a tavola.

Piero Molducci era un alzatore, quando giocava. Diabolico, di grandissimo carattere. E anche di grandissima tecnica: la prima volta che lo vidi era ormai a fine carriera, stava trascinando il Barcia Forlì alla promozione dalla B1 all’A2. Gran parte del gioco d’attacco di quella squadra si basava su un opposto che nella mia cronaca ribattezzai il ‘Ganev dei poveri’ perché era un gigante che tirava giù legnate come il grande campione bulgaro. Credo che si chiamasse Graziani, ma non ne sono sicuro.

Il fatto è che in quella partita Molducci fece una cosa che non avevo mai visto prima, e che avrei rivisto meno di dieci volte in tutto nel resto della mia carriera di guardone del volley, e ormai parliamo di 35 anni, 40 se ci mettiamo gli anni da bambino senza penna in mano.

A un certo punto, arriva una ricezione bassa, Molducci arriva sotto rete e alza in bagher. Per il centrale. Un primo tempo, si chiama oggi, allora dicevamo ‘una veloce’. Ci vuole una sensibilità pazzesca per fare una cosa del genere. Molti alzatori non lo fanno neanche una volta in tutta la carriera, in partite vere. Alcuni lo fanno due o tre volte in vent’anni, ma solo gli eletti.

Lui lo fece tre volte nella stessa partita.

Una quindicina d’anni dopo, da giornalista, ci ritrovammo vicini a tavola in un dopopartita di una Parma-Modena dei playoff in cui la Maxicono di Molducci aveva macinato gli avversari, pur non avendo praticamente a disposizione il proprio giocatore più forte, Sergei Tetyukhin. Molducci si inventò un sistema di ricezione strano,  per sopperire. Parma fu battuta nelle due partite successive, Modena era nettamente più forte. Molducci aveva fatto anche troppo.

Quella sera eravamo alla pizzeria La Brace di Parma, uno dei ritrovi abituali in cui dopo le partite si radunavano le squadre, anche tutte e due, con i giornalisti, i dirigenti e gli arbitri, in un clima che terzo-tempo-del-rugby-scansati. Un giorno scriverò qualcosa su questi piccoli santuari della convivenza sportiva e civile, dallo Spaghettinotte di Faenza alle Macine e alla Vecchia Pirri di Modena, dal pub Galloway di Padova al Pallaio di Firenze al Sagari di Treviso.

Nel frattempo mi basta ricordare il sorriso di Piero quella sera, quando parlavamo delle veloci alzate in bagher, delle scuole degli alzatori diverse perché in Romagna preferivano mancini capaci di attaccare di prima intenzione e in Emilia puntavano tutto sul tocco più pulito e sulla tattica, delle rincorse dei centrali a passo invertito. Come due vecchi amici che si conoscevano da sempre, e invece era la seconda volta che lo incontravo da vicino. Certo, il volley era una lingua ponte, ma c’era di più.

Piero era così, una persona solare con cui andavi d’accordo subito. Oggi che ci stiamo incattivendo tutti, la sua partenza fa ancora più male.