L'arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi

CHE PARTECIPASSE alla festa della Fiom era già di per sé una sorpresa, che sedesse al fianco di un metalmeccanico duro e puro come Landini uno scatto da conservare, ma che l’arcivescovo di Bologna Zuppi si schierasse con il sindacato rosso «nella lotta contro l’omofobia», senza se e senza ma, era piuttosto difficile da pronosticare. Chissà forse perché  sotto le Due Torri la cronaca degli ultimi anni ci ha abituati a continui bracci di ferro tra la galassia Lgbt e le istituzioni cattoliche petroniane. Eppure, da quando è arrivato a Bologna, nel dicembre scorso, don Matteo se ne è assunti di impegni clamorosi: prima ha assicurato che gran parte dei proventi milionari della Faac – la multinazionale dei cancelli automatici ereditata dall’arcidiocesi – serviranno a creare occupazione, seguendo così l’orientamento del suo predecessore, il cardinale Caffarra, sull’utilizzo sociale dei guadagni dell’azienda; poi si è posto come garante, affinché il Comune si attrezzi per dare una sistemazione definitiva a una cinquantina di migranti, fra loro anche donne e bambini, che si erano rifugiati in una chiesa, una volta sgomberati da uno stabile in pieno centro, occupato tre anni fa.

EMERGENZA lavoro e questione abitativa sono le priorità che l’arcivescovo fin da subito si è appuntato in agenda. Quanto all’omosessualità, ben conscio dei pregressi e delle attese, Zuppi si è presentato all’arcidiocesi predicando accoglienza e fratellanza (Resto del Carlino, 28 ottobre 2015) prima d’incappare, in pieno dibattito sulle unioni civili, nei mugugni della comunità Lgbt dopo aver detto che “le priorità sono altre”. Ma evidentemente per l’ex ausiliare di Roma un conto è la disciplina delle relazioni fra persone dello stesso sesso – che comunque non ha mai rigettato a dispetto di Caffarra che, intervistato da La nuova bussola quotidiana (25 maggio 2016), ha tuonato contro quella che considera “la ridefinizione del matrimonio” -, altro è combattere il pregiudizio e la violenza ai danni di gay e lesbiche. Anche in una città in cui certe prese di posizione della Chiesa hanno sollevato più di un polverone. Settembre 2006, una coppia di omosessuali viene picchiata nel cuore della notte all’esterno della Salara, la sede dell’Arcigay Cassero. Uno dei due ragazzi rimedia la rottura del setto nasale, l’altro se la cava con qualche contusione. La mattina seguente, dal suo ufficio in via Altabella, l’allora vescovo ausiliare, monsignor Ernesto Vecchi, assesta un commento sulla vicenda: “La violenza è cugina della trasgressione… Non è con la violenza che si risolvono i problemi”. Accesa la miccia, quel che ne consegue sono giorni e giorni di polemiche infuocate. Qualche anno più tardi – siamo nel 2009 – è la volta del cardinale Caffarra. Il porporato intima a don Pirani, parroco di San Bartolomeo della Beverara, di allontanare il coro omosessuale Komos, specializzato in musica classica, che, dopo essere entrato in rotta col Cassero, era stato ospitato nei locali della parrocchia per le prove. A malincuore il prete è costretto ad obbedire.

INUTILE chiedersi se con Zuppi tutto questo sarebbe successo… L’impressione diffusa è che l’arcivescovo privilegi quel contatto e quell’attenzione pastorale alle persone che, durante l’episcopato precedente, con riferimento agli omosessuali, si è apprezzato solo raramente. Per esempio, nel caso dell’omaggio commosso del vescovo Vecchi al feretro dell’attivista transessuale Di Folco o durante i funerali di Dalla durante i quali anche il suo compagno – pur se presentato come un amico – potè ricordarlo dall’altare della basilica di San Petronio. Con Caffarra si è è preferito affermare più che altro la verità del magistero sulla condizione e la sessualità omosessuale. Lo si è fatto con una ridondanza tale da prestare il fianco a chi da tempo accusa la Chiesa di essere ossessionata dal sesso. Calma e gesso. Zuppi non è venuto a Bologna per cambiare il magistero cattolico. Non potrebbe e nemmeno lo vuole. Da noi intervistato nel libro La famiglia allo specchio (Gabrielli) l’arcivescovo ha scandito: “Per la Chiesa il matrimonio e la coppia sono quelle tradizionali fra un uomo e una donna”. Tuttavia, ha aggiunto, “è inequivocabile l’atteggiamento ecclesiale che pone al centro l’uomo comunque esso sia. Certo, senza confusioni o legittimazioni, ma anche senza damnatio memoriae. Bisogna scegliere la via ferma e rigorosa della misericordia”. Non è e non sarà facile, specie in una diocesi poco avvezza a certe sintesi. Le accuse di chi pensa che la misericordia annacqui la verità si percepiscono in sottofondo. Hanno i musi lunghi di alcuni parroci, i silenzi imbarazzati di quei laici che hanno estremizzato la lezione del cardinale Biffi. Ancora poco rispetto alla gioia di chi nell’accoglienza e nel riconoscimento sta ritrovando la fede. Non solo in Dio, ma anche e soprattutto nella Chiesa.

Giovanni Panettiere

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