SONO stato un soldato del generale Renzo Apollonio quando era comandante della regione militare tosco-emiliana. Di leva, lavoravo nell’ufficio stampa. Lo ricordo estroverso e sensibile alla popolarità. Una volta, in un discorso ai soldati, disse che gli avevano riferito di ufficiali che insultavano la truppa. Si guadagnò il favore dell’uditorio dicendo: se vi succede telefonatemi e li punirò. Lo ricordo accanto al sindaco comunista di Firenze Elio Gabbuggiani sul palco d’onore per il trentennale della liberazione mentre sfilavano i reparti partigiani in un tripudio di bandiere rosse e pugni chiusi. Il Pci lo candidò al comando generale dell’Arma dei carabinieri, ma quella sfilata non era passata inosservata. Mi hanno sempre detto che Apollonio era stato l’eroe di Cefalonia, che, come ebbe modo di rimarcare Ciampi quando era presidente della Repubblica, era stato l’inizio della riscossa al nazismo.

Ora è uscita un’accurata ricerca di Elena Aga Rossi, apprezzata storica dell’Italia in guerra e del dopoguerra, che riprendendo ombre antiche fornisce testimonianze su Apollonio come cinico collaborazionista per un anno, dopo l’eccidio di centinaia di soldati della Acqui. La ricerca della Rossi si chiama “Cefalonia” ed è edita da Il Mulino. I fatti sono noti. Nei giorni successivi all’armistizio dell’8 settembre del ’43 la Divisione “Acqui” dislocata a Cefalonia con 11.500 soldati e ingenti quantitativi di armi si trova lacerata tra la scelta di consegnare le armi ai tedeschi come chiede l’ex alleato o continuare combattere. Una parte minoritaria dei soldati vorrebbe stare al fianco dei tedeschi, la maggioranza invece è contro di loro. Nella complessa ricostruzione di documenti, Apollonio, che all’epoca era tenente e poi capitano, sposò tutte queste opzioni. A che scopo? Con il fine di non cedere le armi, spiegò in modo ardito, per poter entrare in azione contro i tedeschi appena possibile.

GIUSTIFICAZIONE che non ha mai convinto del tutto, anche se fu accettata dalla magistratura militare. Apollonio, dopo essere entrato nelle grazie dei tedeschi, si fece fare dal cappellano militare una dichiarazione che lo definiva «fervente fascista». Così fu nominato dai tedeschi comandante di un reparto di artiglieria, inquadrato nelle forze della Rsi, di cui facevano parte 900 soldati. Nonostante ciò rientrarono a Bari con tutti gli onori come combattenti antifascisti, accolti dall’allora ministro della difesa Casati. Agli “eroi” il governo riconobbe anche un’indennità di combattimento, che fu negata per molti anni agli altri superstiti della Divisione. Elena Aga Rossi commenta: «Il paese, che usciva sconfitto dalla guerra, aveva disperatamente bisogno di nuovi miti sui quali ricostruire una coesione nazionale, e sposò subito quello della resistenza antinazista di Cefalonia. Molti avevano interesse a una narrazione assolutoria di tutta la vicenda, che scaricasse sui morti le responsabilità dell’eccidio e facesse dimenticare gli episodi di collaborazionismo».

COMANDAVA la Divisione il generale Antonio Gandin, che nei suoi memoriali Apollonio descrisse come uomo incerto e tormentato. La più recente storiografia lo dipinge invece come un comandante che lucidamente cercò fino alla fine di prendere tempo per evitare che i suoi soldati cedessero tutte le armi, intento da cui dovette desistere non tanto per le pressioni di Apollonio e degli altri ufficiali che volevano reagire ai tedeschi quanto per obbedire alle indicazioni dello stato maggiore che in un messaggio pervenuto in quei giorni invitava a considerare i tedeschi come nemico.

Che cosa fece Apollonio affiancato dal capitano Amos Pampaloni, che era un autentico antifascista? Prima si mise a capo dei reparti che pensavano che arrendersi ai tedeschi volesse dire diventarne prigionieri. Poi fu improvvisato una specie di referendum e alla fine, il 16 settembre, iniziò la battaglia che durò una settimana. Il 22 gli italiani bersagliati dall’aviazione e rimasti senza armi e munizioni – che Apollonio aveva in precedenza distribuito ai partigiani greci – si arresero. Su ordine di Hitler i nostri soldati furono sterminati, Gandin fu fucilato il 24. Apollonio riuscì a fuggire e fingendosi soldato semplice si infilò in un ospedale ma fu riconosciuto da italiani che lo denunciarono come nemico dei tedeschi e venne condannato a morte. Ma la sentenza non fu eseguita e da quel momento il giovane ufficiale passa dalla parte dei tedeschi, frequenta disinvolto la loro mensa ufficiali, viene impiegato come interprete e come inviato in missioni a Belgrado e Atene. Rivelando le sue abilità doppiogiochistiche approfitta di quelle assenze per tenere contatti con i partigiani comunisti greci. Il giorno in cui i tedeschi abbandonano in fretta e furia l’isola, entra in contatto con i servizi britannici da cui ottiene il permesso di rientrare in Italia al comando dei reparti che erano stati con lui al servizio dei tedeschi.

BILANCIO dell’eccidio, non 9000 morti, come si è detto finora, ma una cifra inferiore comunque enorme, ovvero tra i 1700 e i 2300 uccisi. A cui vanno aggiunti 3000 prigionieri della Acqui stivati in tre navi che li stavano portando in Germania e che furono affondate nell’Adriatico. Apollonio, padre della Resistenza, eroe o fanfarone?