SE LE STORIE raccontate dal cinema subiscono il variabile stato d’animo indotto dalla realtà, questo film di Michael Bay va visto come una pagina ancora da decifrare. A cominciare dalla morte di Gheddafi, che non si sa se ucciso da un sadico libico o da un gelido 007 francese con il compito di eliminare l’imbarazzante finanziatore elettorale dell’ex presidente Sarkozy. Dunque, stando a questo film, potremmo concludere che gli Stati Uniti a cinque anni dalla morte del rais, guardano questa sporca guerra in Libia come un temibile campo minato. Per di più senza particolari motivi per esserne interessati perché il loro nemico era Gheddafi e uscito di scena lui, è come se avessero archiviato o tentato di archiviare la questione.

PERCHÉ ce l’avevano con Gheddafi? Perché, oltre ad essere stato un
finanziatore di terroristi che avevano colpito cittadini americani, aveva osato troppo. Perfino sfruttare il trattato di amicizia con Roma usandolo per lanciare avventate sfide alla Casa Bianca. Come quella pronunciata nella visita di Stato a Roma quando disse che «gli Stati Uniti sono come i terroristi di Bin Laden». Era il 2009, otto anni dopo l’attacco alle torri gemelle con i 3mila morti dell’11 settembre. Esagerò.

ENTRARE nella guerra in Libia fu come entrare in una palude vietnamita: si capì a Bengasi, la notte dell’undicesimo anniversario dell’11 settembre 2001, quando un centinaio di ribelli al grido di «Allah Akbar» assaltarono una sede diplomatica degli Usa nella capitale della Cirenaica uccidendo l’ambasciatore e tre agenti che lavoravano per la Cia. Un fatto che resta oscuro ancora oggi, certamente strumentalizzato dai repubblicani, sul quale ci sono state otto inchieste della commissione del congresso di Washington, ultima quella che ha visto l’ex segretaria di Stato Hillary Clinton interrogata per
11 ore per sapere di chi sia stata la colpa e perché furono sottovalutati gli allarmi lanciati dai diplomatici distaccati in Libia. Questione che è stata insufficientemente risolta cacciando 4 uomini del Dipartimento difesa.

CHE COSA dunque successe a Bengasi quell’11 settembre di undici anni dopo? La giornata era stata come tante ma con segnali di nervosismo. A Bengasi era giunto da Tripoli l’ambasciatore statunitense Christopher Stevens, diplomatico di lunga esperienza sia in Libia che nel Medio Oriente, considerato una colomba. Dopo un incontro con un diplomatico turco, verso le 21 Christopher si ritirò nella sua stanza e fu da lì che una mezz’ora dopo udì le urla di una folla che improvvisamente cominciò a sparare, irrompendo nel compound americano, versando, secondo un preciso piano militare, taniche di carburante cui dettero fuoco sollevando un fumo soffocante che imprigionò l’ambasciatore mentre cercava di salire sul tetto della palazzina distante un centinaio di metri da un centro di ristoranti e caffè, da dove i clienti assistettero sbigottiti all’assalto.
Sean Smith, una guardia, stava chattando con alcuni giocatori online e uditi gli spari scrisse: «Stasera potrei morire». Fece appena in tempo ad aggiungere «colpi d’arma da fuoco» per poi tacere per sempre. Fu la prima vittima.

LA SICUREZZA riuscì a dare l’allarme all’ambasciata a Tripoli, alla centrale Cia di Washington e Stevens provò a chiamare il suo aiuto a Tripoli ma non gli rispose per due volte. Solo il terzo tentativo riuscì ma era troppo tardi. L’assalto dall’inizio alla fine durò tre quarti d’ora. L’ambasciatore fu portato all’ospedale ma morì poco dopo per soffocamento. Poi, verso mezzanotte ci fu un secondo assalto a una casa che era ad un miglio dal compound, considerata protetta, tanto che vi era stato concentrato il personale diplomatico da mettere in salvo.

FU UNO SCONTRO duro che si protrasse fino all’alba. Nel frattempo la Cia a Tripoli era riuscita a procurarsi un piccolo aereo dando ai piloti 30 mila dollari. Giunti a Bengasi incontrarono delle autorità libiche poi verso le 5 cominciò l’evacuazione dei 32 americani. Fu un piccolo gruppo di uomini a compiere l’operazione e il piano in qualche modo riuscì nonostante i quattro morti. Un fatto che scosse l’opinione pubblica americana e che resta oscuro perché non si è capito ancora il perché di quell’ improvviso assalto e perché non venne attivato un dispositivo di pronto intervento che si sarebbe potuto
avvalere della base di Sigonella e della Souda Bay di Creta.

SECONDO un’ipotesi l’assalto fu una reazione all’uccisione di un capo di Al Qaeda, secondo un’altra ipotesi una protesta alla pubblicazione di un filmato giudicato blasfemo. Il film “13 Hours, the Secret Soldiers of Benghazi”, che giungerà prossimamente in Italia, racconta la storia dei soldati soccorritori e della loro mezza vittoria o mezza sconfitta. Michael Bay, già regista di “Armageddon” e “Pearl Harbor”, segue la traccia di un romanzo di Mitchell Zuchoff, che è comunque un racconto parziale di una storia più ampia nella quale siamo ancora immersi fino al collo. E continuiamo a sprofondarvi.