IL PRIMO UOMO di governo che ha tratto le conseguenze dopo essere stato coinvolto nello scandalo dei Panama Papers è il premier islandese Sigmundur David Gunnlaugsson: ha mandato a quel paese il giornalista televisivo che lo incalzava sullo scottante argomento, poi si è subito dimesso. E, in questo senso, la fredda e spopolata Islanda, lassù nei mari del Nord, ha dato una lezione a tutti. È vero, anche Federica Guidi, per una vicenda di tutt’altro genere, è stata veloce nel mettersi da parte, ma quell’isola sperduta ha dato davvero un esempio di tempestività in questo enorme scandalo senza frontiere dei paradisi fiscali.

NON SONO mai stato a Reykjavik, il nome della capitale che, da ragazzo, mi faceva sorridere, eppure ho sempre avuto un debole per quella glaciale nazione dei geyser, così sperduta, così lontana da tutto. L’ho sempre considerata molto democratica e civile e accolsi positivamente la notizia che due anni fa il centrodestra, pur responsabile della bancarotta del 2008, era tornato al potere  con la promessa, strano a dirsi nell’isola del freddo, di surriscaldare i consumi e di sconfiggere l’austerità, tagliando le tasse. Ma anche con l’impegno di sposare in pieno l’euroscetticismo nel nome di una rinnovata moralizzazione dell’Islanda. Se i risultati della crociata sono questi, con lo scandalo del premier, verrebbe quasi da dire che tutto il mondo è Paese.
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