I CORSI e i ricorsi storici non finiscono mai. Succede in tutti i campi, ma in economia con particolare evidenza. Come nel caso del francese Vincent Bolloré che ha avviato le grandi manovre per consolidare la presenza di Vivendi in Telecom. L’imprenditore transalpino, più che un bretone, sembra un guascone: sta puntando anche a Mediaset Premium e ci fa rivivere altre campagne d’Italia con altri “cugini” alla conquista dei nostri gioielli. In particolare, ricorda il suo maestro Antoine Bernheim, delfino di Enrico Cuccia, che ho intervistato tanti anni fa, nel suo ufficio della Lazard, in Boulevard Hausmann, a Parigi.
Ci sono davvero molte somiglianze tra il Bernheim di ieri e il Bolloré di oggi, solo che Antoine aveva un debole per le polizze e, d’intesa con Cuccia e Mediobanca, fece in modo di scalare la compagnia assicurativa delle Generali, tanto da divenirne presidente. A Vincent, invece, piace tutto ciò che sa di telecomunicazioni. In quella vecchia intervista, il maestro di Bolloré mi spiegò perché i salotti buoni del “made in Italy”, da via Filodrammatici allo stesso Leone di Trieste, piacciono tanto alla finanza francese. È confortante notare che, dopo un quarto di secolo e nonostante la recessione che ha messo in ginocchio il Belpaese, ci sono ancora uomini d’affari d’Oltralpe che scommettono su di noi. L’importante, ovviamente, è che paghino davvero. Ricordo, infatti, cosa disse un banchiere alla nota giornalista francese Anne Sabouret sulla finanza d’Oltralpe di allora: «Hanno imparato ad acquistare tutto senza “cash”; come certe taxi-girl di locali alla moda: siete presi dal loro “charme”, pensate che offrirete loro una bottiglia di champagne, in realtà non sapete a cosa andate incontro». Speriamo bene.
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