«ESISTERE è cambiare, cambiare è maturare, maturare è continuare a creare se stessi senza fine». Questa frase, attribuita ad uno scrittore americano dell’Ottocento, Henry van Dyke, la scelsi nel 2008 quando lasciai tre direzioni del gruppo Poligrafici di cui fa parte il “Giorno”, per impegnarmi in una breve esperienza politica. Oggi recupero quelle parole nel momento di chiudere con il giornale più vicino al mio cuore che è stato, per tanti anni felici, compagno inseparabile della mia vita.

GLI ADDII, finché uno esiste, non sono mai definitivi, ma è normale cercare nuove strade, nuovi volti, altre storie. Lascio con la morte nel cuore perché questi oltre mille giorni alla guida del “Giorno” sono stati, per il sottoscritto, esaltanti. Ho trovato compagni di viaggio, che mai dimenticherò, con i quali abbiamo raggiunto traguardi sempre più importanti. Nel grigiore di una crisi che ha investito l’editoria intera, il nostro quotidiano è stato, almeno così penso, uno sprazzo di luce, quella stessa luce di colore, fatta di modernità e di innovazioni, che il giornale rappresentò al momento della sua fondazione, proprio sessant’anni fa.
Siamo diventati il secondo giornale più diffuso in Lombardia e, in certe zone della regione, siamo ora leader assoluti: è la migliore conferma del percorso che, tutti assieme, abbiamo compiuto. In queste settimane, tanti colleghi mi hanno chiesto di non lasciare la direzione e mai come ora li sento vicini. Credo, però, che sia giusto passare la mano nel momento migliore e oggi, per tanti versi, lo è: oltre al sessantesimo compleanno, proprio ieri abbiamo festeggiato l’inaugurazione della nuova prestigiosa e luminosa sede della redazione alla presenza del Cardinale di Milano, Angelo Scola. Tanti sono stati i riconoscimenti e le gratificazioni per l’anniversario: dal presidente della Repubblica Mattarella al governatore della Lombardia Maroni, dal sindaco di Milano Pisapia al sovrintendente alla Scala, Pereira, gli attestati di amicizia si sono sprecati. Ringrazio, ancora una volta, tutti. Sono anche felice per essere stato testimone del grande salto verso il futuro che Milano ha compiuto, prima con l’Expo, poi col ruolo sempre più trainante che svolge per tutto il Paese: devo tutto a questa fantastica città che mi ha reso quello che sono.
Ma ringrazio soprattutto i colleghi che tanto appassionatamente hanno lavorato in questi anni: sono orgoglioso di avere guidato una squadra così affiatata e compatta. Quando, all’inizio del 2013, sbarcai nuovamente a Milano, pregai i miei principali collaboratori di avere un po’ di pazienza perché mi sentivo arrugginito per essere stato lontano dalla carta stampata. Dopo qualche settimana, una collega mi rivelò che non dovevo sentirmi “out” per il semplice motivo che ero anzi migliorato rispetto a prima: il periodo trascorso dentro il Palazzo mi aveva purificato dalla fatica quotidiana della professione e mi aveva fatto scoprire tanti meccanismi inaccessibili ai più. È il miglior complimento che abbia ricevuto. Lascio il “Giorno” in buone mani: mi mancheranno i miei “ragazzi”, mi mancherete voi, cari lettori. Ma c’è sempre un nuovo inizio. Buona fortuna a tutti, anzi Buongiorno.