L’ASSALTO alla sede milanese dell’“Avanti!”, in via San Damiano, il 15 aprile 1919, esattamente 96 anni fa, rappresenta il momento in cui il fascismo si manifesta, per la prima volta, nella sua identità più profonda, fatta di violenza, rabbia per la vittoria tradita, arditismo, futurismo, fasci di combattimento. Fino ad allora, infatti, le matrici tra il socialismo e il nuovo movimento creato da Mussolini avevano avuto diversi punti di contatto. Non è un caso che il futuro duce fosse stato socialista fino allo scoppio della prima guerra mondiale, quando fu costretto a lasciare il partito e la direzione dello stesso giornale per avere aderito all’interventismo. Ho cercato di approfondire l’argomento con un libro, “Il compagno Mussolini”, che ho scritto assieme ad uno storico e giornalista inglese, Nicholas Farrell.

IL SAGGIO cerca di dimostrare che se è vero che i socialisti etichettarono subito il fascismo come forza reazionaria al servizio della borghesia, in realtà – almeno all’inizio, prima delle degenerazioni che portarono all’imperialismo – i due movimenti ebbero alcuni punti programmatici piuttosto simili e, comunque, erano tra loro molto più vicini di quanto entrambi lo fossero sia con il liberismo che con il capitalismo, ovvero con la destra di tipo anglosassone. La svolta avvenne, appunto, quel giorno dell’assalto alla sede dell’“Avanti!”. I fascisti ricorrono per la prima volta alla violenza in risposta alla convocazione, da parte dei socialisti, di uno sciopero generale in seguito all’uccisione, per mano della polizia, di un funzionario di partito. Quel giorno una banda di 200-300 fascisti, nazionalisti e arditi che marciano in colonna come soldati (molti armati di pistole e con torce accese), attacca i dimostranti socialisti in Piazza del Duomo. Poi si avvia verso la sede dell’“Avanti!”, in via San Damiano: i locali vengono saccheggiati ed incendiati. Muoiono in quattro, un soldato e tre socialisti, 39 sono i feriti.

MUSSOLINI, che non ha preso parte al corteo, appare esultante. Al “Giornale d’Italia” dichiara che la violenza è stata una reazione spontanea «della folla dei combattenti, della gente stufa del ricatto leninista perché Milano vuole lavorare». E aggiunge: «Noi fascisti non abbiamo organizzato l’attacco al giornale socialista, ma ne accettiamo tutta la responsabilità morale». E sul “Popolo d’Italia”, il 18 aprile 1919, scrive: «Non erano reazionari, non erano borghesi, non erano capitalisti quelli che mossero in colonna verso San Damiano. Era popolo, schietto, autentico popolo». Ad ascoltare le parole del futuro duce sembra quasi che quell’assalto fosse stato uno spontaneo atto del popolo. Ma non è stato così. A smentire Mussolini è il suo stesso giornale che, come riporta lo storico Mimmo Franzinelli, fa comprendere come tutto fosse preordinato: «Alcuni dimostranti riescono ad abbattere il portone di ferro e ad invadere tutte le stanze della redazione, dell’amministrazione, della libreria, della tipografia, accingendosi alla completa distruzione di quanto vi trovano e gettano ogni cosa nel Naviglio. Quando la devastazione è finita qualcuno dei dimostranti appicca il fuoco perché le fiamme completino l’opera. Tutto ciò si è svolto con un’eccezionale rapidità e quando la polizia, ricevuti i rinforzi, si slancia al contrattacco, dell’ex redazione non resta che il ricordo». Dopo i fatti del 15 aprile cambiò tutto e gli industriali cominciarono a finanziare copiosamente gli arditi: è l’inizio di un incubo che durerà quasi 30 anni.