L’ha inseguita per nove anni. Perchè per tutti è sempre stato il Re. Ma ha rischiato di fare la fine di Giovanni Senzaterra, soprattutto dopo gara 1. Poi LeBron James ha deciso di prendersi tutte le responsabilità, trasformando la sua rabbia – come ha confessato durante la conferenze stampa dopo gara 4 – in gioia di giocare a basket e divertirsi prima che divertire. Un cambio di mentalità che lo ha portato a prendersi finalmente la sua corona. Quella più ambita, quella della NBA. Gli Heat dunque chiudono la serie sul 4-1 e LeBron, dopo avere portato a casa il titolo di Mvp della regular season, mette le mani anche su quello di miglior giocatore della finale: titolo strameritato anche per quanto fatto vedere in gara 5, in cui l’ex idolo di Cleveland ha messo a referto una tripla doppia da favola: 26 punti, 13 assist e 11 rimbalzi. Diciamoci la verità, LeBron ha dominato la serie anche se la sua squadra, i Miami Heat non hanno giocato una pallacanestro stellare, come invece hanno fatto gli avversari, con Durant in testa. Peccato che Oklahoma abbia pagato a caro prezzo la gioventù e l’inesperienza, ma sono loro la squadra del futuro, aspettando quello che succederà in estate durante il mercato. Questo, però, è il futuro. Il presente parla invece del trionfo di Miami e del suo front office, Pat Riley che ha lavorato per costruire una squadra che aveva mille pressioni dopo il tonfo della passata stagione. Tonfo che aveva marchiato LeBron come il più grande ‘perdente di successo’. Ora il cerchio si è chiuso e LeBron si è tolto dalla spalla un gufo che rischiava di diventare grande come una balena. Qualcuno ha paragonato gli Heat ai Bulls di His Airness, sua maestà Air Jordan. No, scusate, il paragone non regge. Non può reggere. Michael è stato un’altra cosa, capace di dominare sui due lati del campo, anche se una caratteristica avvicina molto le due squadre: i comprimari. Quelli, in sostanza, capaci di tirare fuori dal cilindro la partita che non ti aspetti. Le immagini un po’ sbiadite delle imprese dei Bulls ricordano i tiri decisivi di John Paxon e Steve Kerr. Forse proprio ispirandosi ai grandi cecchini del passato Mike Miller ha fatto registare un irreale 7/8 da 3. Davanti a certe cifre anche i Thunder non hanno potuto che alzare bandiera bianca. E’ nata un’altra dinastia? Difficile rispondere, può darsi che la prossima abbia già iniziato a mettersi in mostra, ma potrebbe non avere la maglia rossonera. Per ora, onore a King James. Il resto sono puri esercizi dialettici di noi comuni mortali…