VEDI I VIDEO “Quartine” dette da Patrizia Valduga , Archivi del Premio Letterario Castelfiorentino: Patrizia Valduga si racconta, prima parte (con un sonetto di Petrarca) ,  … e seconda parte , “E nottetempo la gente”

Firenze, 20 maggio 2020 – Presenza poetica di assoluto rilievo nel panorama letterario contemporaneo, Patrizia Valduga è nata a Castelfranco Veneto il 20 maggio 1953. Dopo il Liceo scientifico frequenta per tre anni la facoltà di Medicina, passando poi alla facoltà di Lettere di Venezia, dove segue i corsi di Francesco Orlando che segnano un momento fondamentale per la sua formazione, conseguendo la laurea. Decisivo nella sua biografia umana e artistica è l’incontro, nel 1981, con il poeta e critico milanese Giovanni Raboni, di cui diviene la compagna fino alla sua morte, avvenuta nel 2004. Nel 1988 ha fondato e diretto per un anno la rivista “Poesia”. Vive e lavora a Milano, dove collabora alle pagine culturali di “Repubblica”.

Poetessa naturalmente dotata e colta, Patrizia Valduga ha fatto della poesia fonte di piacere e terapia per attutire il dolore mediante la musicalità dei ritmi e dei suoni appannaggio dell’esercizio lirico. Attraverso una personalissima ricerca stilistica iniziata con Medicamenta (Guanda 1982), lo sbaragliante libro d’esordio, la poetessa ha fatto propria – inserendosi da protagonista in un contesto storicamente allargato ed efficiente – la crisi del linguaggio poetico moderno, riuscendo a conferirgli nuova dignità letteraria grazie a un deliberato, originale recupero delle forme più illustri della tradizione: sonetti, madrigali, sestine, ottave e terzine. A tale recupero la Valduga ha abbinato, con esiti talvolta sorprendenti, la ricerca di un’espressione in cui l’antico e il moderno, l’aulico e il quotidiano, il sublime e il volgare, si coniugano e si contaminano.

Dopo La tentazione (Crocetti 1985) e i testi aggiunti di Medicamenta e altri medicamenta, il monologo in endecasillabi Donna di dolori (Mondadori 1991) conferma tra poesia e teatro questa strenua vocazione al canto d’ispirazione erotico-funeraria. Diverso il tono di Requiem (Marsilio 1994), poemetto in ottave scritte per la morte del padre, dove l’esperienza immanente della morte volge l’originaria fascinazione manieristica della dizione poetica nella misura di una naturale, sconvolta effusività.
Con le raccolte successive, Cento quartine e altre storie d’amore (Einaudi 1997), Quartine. Seconda centuria (Einaudi 2001), il poemetto Manfred (con la collaborazione del pittore Giovanni Manfredini, Mondadori 2003), Lezione d’amore (Einaudi 2004), si riattiva in forme metriche sempre più elaborate la schermaglia della scrittura. In Corsia degli incurabili (Garzanti 1996, raccolto in Prima antologia, Einaudi 1999, e al pari di Donna di dolori rappresentato in teatro) è di scena un malato terminale che dal suo letto di ospedale dà voce ai propri pensieri nel metro del sirventese classico, raccontando tra l’invettiva e la preghiera, la confessione e lo sdegno, la degradante attualità del nostro paese, la corruzione delle istituzioni, la decadenza della cultura e della lingua.

Nel 2006 la Valduga firma la Postfazione a Ultimi versi di Giovanni Raboni, che comprende le poesie composte nell’estate del 2004, durante la malattia del poeta. Sono i “versi veri e vivi” che oggi aprono il Libro delle laudi (Einaudi 2012), un nuovo intenso canzoniere che rilancia sulla scia dei laudari antichi il furor sacro di una moderna coscienza poetica. Di recente Patrizia Valduga ha inoltre curato l’antologia Poeti innamorati. Da Guittone a Raboni (Interlinea 2011) e il Breviario proustiano (Einaudi 2011). Notevole la sua attività di traduttrice, da Mallarmé, Valéry, Molière, Donne, Céline, Kantor, Shakespeare. Ha ricevuto premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio Viareggio, il Premio Betocchi e il Premio Letterario Castelfiorentino.

Marco Marchi

Quartine

La sento la mia vita, me la imparo,
fino al fegato adesso, fino al fiele;
oh nera un tempo enorme senza chiaro,
fedele della notte più infedele. 

Vuota il tuo sacco, su, parla, poetessa:
io fiorisco e mi sfoglio e rigermoglio
per dare la procura di me stessa
a chi non può o non vuole quel che voglio.

Dicevo: Amore mio, vorrei annegare
nell’acqua chiara dei tuoi occhi chiari,
finire finalmente di aspettare
giovani giorni, cari giorni chiari.

Per me dentro di me oltre la mente
il suo corpo su me come una coltre
ma oltre il corpo in me furiosamente
in me fuori di me oltre per oltre…

Oh, l’inutilità di questi affanni
la conosco a memoria, inutilmente;
e nel peso degli utili e dei danni
connetto notte a notte e niente a niente.

Osceno e sacro l’amore delibera
stessa sede per sé e per gli escrementi.
Se non mi leghi io non sarò mai libera,
né casta mai se tu non mi violenti.

Io mi arrendo, congedo i miei soldati,
la mia legione di sogni e di versi.
Combattete per altri disarmati,
vincete in verità, miei sogni in versi.

Patrizia Valduga 

(da Cento quartine e altre storie d’amore, 1997)

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