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Firenze, 16 giugno 2021 – Ricordando che ieri l’altro ricorreva l’anniversario della morte del grande Jorge Luis Borges (Ginevra, 14 giugno 1986).

Ha scritto Maurice Blanchot: «Sospetto Borges d’aver trovato l’infinito nella letteratura. Non voglio insinuare che ne abbia solo una coscienza tranquilla, attinta dalle opere letterarie; intendo dire che l’esperienza della letteratura è, forse, fondamentalmente affine ai paradossi e ai sofismi di ciò che Hegel, per escluderlo, chiamava cattivo infinito.

La verità della letteratura risiederebbe nell’errore dell’infinito. Il mondo in cui viviamo, quale noi lo viviamo, è per fortuna limitato. Bastano pochi passi per uscire dalla nostra camera, pochi anni per uscire dalla nostra vita. […]

Borges, uomo essenzialmente letterario, è alle prese con la cattiva eternità e la cattiva infinità, le sole forse che ci è dato sperimentare, fino a quel rovesciamento glorioso che si chiama estasi. Il libro in linea di massima è il mondo per lui, e il mondo è il libro. […]

Il mondo e il libro si rimandano eternamente e infinitamente le loro immagini riflesse. Questo potere indefinito di riverberazione, questo scintillante e illimitato moltiplicarsi che è il labirinto della luce e che peraltro non è un nulla, sarà allora tutto ciò che troveremo, vertiginosamente, in fondo al nostro desiderio di capire». (M. Blanchot, L’infinito letterario: l’Aleph, da Il libro a venire, 1959).

Marco Marchi

Limiti

Di queste strade che sfondano il tramonto,
una ce ne sarà (non so quale) che ho percorso
già per l’ultima volta, indifferente
e senza indovinarlo, sottomesso

a Colui che prefissa onnipotenti norme
e una segreta e rigida misura
alle ombre, ai sogni e alle forme
che intessono e che stessono questa vita.


Se per tutto c’è termine e punto fermo
e ultima volta e mai più e oblio,
chi ci dirà a chi, in questa casa,
senza saperlo abbiamo detto addio?


Dietro il vetro ormai grigio la notte cessa,
e in quel mucchio di libri che una tronca
ombra dilata sulla vaga tavola
qualcuno ce ne sarà che non leggeremo mai.

C’è verso Sud più di un cancello logoro
con i suoi vasi di cemento e sabbia
e fichidindia, che al mio passo è vietato
come se fosse una litografia.

Per sempre hai richiuso qualche porta
e c’è uno specchio che ti attende invano;
il crocevia ti sembrava troppo aperto
ma n’è vigile il quadrifronte Giano.

Fra tutti i tuoi ricordi, ce n’è uno
che si è perduto irremissibilmente;
non ti vedranno scendere a quella fonte
né il bianco sole né la gialla luna.

Non tornerà la tua voce a quel che il persiano
disse nella sua lingua di uccelli e di rose,
quando al tramonto, davanti alla luce sparsa,
vorrai dire cose indimenticabili.

E l’incessante Rodano e il lago,
tutto quel ieri al quale oggi m’inchino?
Perduto ormai sarà come Cartagine
che a fuoco e sale cancellò il latino.

Credo nell’alba di udire un operoso
tramestio di folle che si allontanano:
tutti quelli che mi hanno amato e dimenticato;
già spazio e tempo e Borges mi abbandonano.

(traduzione di Livio Bacchi Wilcock)

Límites

De estas calles que ahondan el poniente,
una habrá (no sé cuál) que he recorrido
ya por última vez, indiferente
y sin adivinarlo, sometido

a quien prefija omnipotentes normas
y una secreta y rígida medida
a las sombras, los sueños y las formas
que destejen y tejen esta vida.

Si para todo hay término y hay tasa
y última vez y nunca más y olvido
¿Quién nos dirá de quién, en esta casa,
sin saberlo, nos hemos despedido?

Tras el cristal ya gris la noche cesa
y del alto de libros que una trunca
sombra dilata por la vaga mesa,
alguno habrá que no leeremos nunca.

Hay en el Sur más de un portón gastado
con sus jarrones de mampostería
y tunas, que a mi paso está vedado
como si fuera una litografía.

Para siempre cerraste alguna puerta
y hay un espejo que te aguarda en vano;
la encrucijada te parece abierta
y la vigila, cuadrifonte, Jano.

Hay, entre todas tus memorias,
una que se ha perdido irreparablemente;
no te verán bajar a aquella fuente
ni el blanco sol ni la amarilla luna.

No volverá tu voz a lo que el persa
dijo en su lengua de aves y de rosas,
cuando al ocaso, ante la luz dispersa,
quieras decir inolvidables cosas.

¿Y el incesante Ródano y el lago,
todo ese ayer sobre el cual hoy me inclino?
Tan perdido estará como Cartago
que con fuego y con sal borró el latino.

Creo en el alba oír un atareado
rumor de multitudes que se alejan;
son los que me ha querido y olvidado;
espacio, tiempo y Borges ya me dejan.

Jorge Luis Borges

(da El otro, el mismo, 1964)

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