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“Mi chiederai tu, morto disadorno, / d’abbandonare questa disperata / passione di essere nel mondo?”. Straordinario Pasolini.
Isola Difederigo
Della contraddizione, tra impegno civile e passione estetica e sensuale, Pasolini ha fatto uno stile di vita e lo stile della sua poesia. A questa natura antidialettica, ossimorica della sua ispirazione la poesia del primo tempo romano risponde con una ridefinizione degli strumenti espressivi e retorici capace di adeguare la tradizione alta della lirica italiana con la rappresentazione insieme oggettiva e mitizzante di una nuova realtà antropologica: quella città dei rumori e dei silenzi, di centro e periferia, di sacro e profano, di tedio e splendori, fatta a misura della contraddizione e dello “scandalo”. La Roma che a Pasolini mostrerà come ineluttabile lo “scandalo” della propria morte, termine estremo della poesia.
Antonella Bottari
Emerge in questi versi il tema pasoliniano del cambiamento della società, avvertito drammaticamente dallo scrittore, che, rivolgendosi a Gramsci, ricorda il mondo rurale, che sta ormai scomparendo e che esisteva anche prima della nascita del politico comunista. Pasolini rintraccia caratteristiche e tratti di questo mondo in quello proletario e povero delle borgate, quartieri popolari e periferici di Roma, un mondo che non gli appartiene, ma da cui si sente attratto. Il poeta ammira la vita proletaria per “la sua allegria”, non per “la millenaria sua lotta”, per “la sua natura”, non per la sua “coscienza”. In questi versi si presenta il confronto con Gramsci e con l’ideologia comunista: a Pasolini il popolo non interessa nella sua lotta di classe e nella sua coscienza di classe, ma nelle sue espressioni più autentiche e vitali, e quindi più sincere. In questi versi viene spiegata la contraddizione intriseca del poeta tra adesione razionale all’ideologia comunista e, emotivamente, il rifiuto di questa: “Lo scandalo del/contraddirmi, / dell’essere / con te e contro te; con te nel core, / in luce, contro te nelle buie viscere; /del mio paterno stato traditore / – nel pensiero, in un’ombra di azione – /mi so ad esso attaccato nel calore / degli istinti, dell’estetica passione”. L’istinto e la passione interiori sembrano incarnati dalla figura del poeta Shelley (seppelito poco distante da Gramsci e a cui il poeta dedica diversi versi), simbolo della “carnale / gioia dell’avventura, estetica / e puerile” a confronto con la forza razionale, incarnata dal pensatore comunista. A questa passione dei sensi e per la vita Pasolini non può rinunciare, se ne sente partecipe, ma anche vittima, come esprime con questa domanda che rivolge a Gramsci: “Mi chiederai tu, morto disadorno, / d’abbandonare questa disperata / passione di essere nel mondo?”. L’amore per il mondo proletario, destinato a scomparire, è evidente nella malinconica descrizione finale del quartiere operaio Testaccio: gli operai tornano nelle loro case, si accendono rari lumi, i giovani gridano nelle piazze “a godersi eccoli, miseri, la sera e “il buio ha resa serena la sera”. E Pasolini, osservatore di questo mondo e non partecipe delle gioie dei ragazzi, ne constata l’inevitabile declino: “Ma io, con il cuore cosciente / di chi soltanto nella storia ha vita, /potrò mai più con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?”.
Maria Antonietta Rauti
Pier Paolo Pasolini: poliedrico, eccentrico, poeta di Casarsa, mai sconfitto, mai crocifisso realmente. Risorge dopo il giorno dei morti, festa continua alla vita oltre i limiti. Personalità forte, terribile nel suo essere diversamente vero, combattivo e nuovo. La modernità del suo pensiero fa tremare. La sua poesia risorge fra le “Ceneri” ogni volta che la si rispolvera, ogni volta che lo si richiama con la sua stessa forza di superare i preconcetti, sconfitti a priori. Da Casarsa, a Bologna, a Roma le sue Ceneri ritornano alla vita, rivivono tra le pagine delle Università e riecheggiano ogni volta che si incontra il suo nome che è in se stesso, ormai, icona senza tempo di poesia e grazia nel ricordo di chi lo ha incontrato ed amato… Grazie Pier Paolo!
Duccio Mugnai
Ricordo una lontana lettura universitaria, cioè “Vita di Pasolini” di Enzo Siciliano. Fu illuminante non solo per la presentazione di un esponente di primissimo rilievo della cultura contemporanea, ma anche per gli orizzonti letterari, poetici, artistici e cinematografici, che tale figura carismatica riusciva a rivelare e a “trasumanare” attaverso se stessa. E’ innegabile il suo anarchismo o ribellismo contestatorio pre-marxista e oltre-marxista, che Pasolini poeta riesce ad esprimere in questo poemetto. Al di là della riconosciuta battaglia “scientifica” per una palingenesi del mondo, rimane il pensiero profondo, malinconico, irrazionale di chi sente l’urlo di dolore e fatica di masse mai rappresentate, mai capite, soffocate nella miseria sociale ed esistenziale, nell’ingiustizia. Ecco che allora mi ricordo meglio un passo dello scritto di Siciliano, dove si parla di Pasolini liceale, completamente folgorato dalla lettura in classe di Rimbaud, nel cui ascolto aveva scoperto il suo “antifascismo”. Scrive Marchi dell’”eresia di Pasolini, finanche sua modalità costitutiva, nel farsi voce alla Rimbaud della disappartenenza di un congenito, consustanziale maladjustement protestatorio nei confronti del reale”. E’ proprio in questo aspetto, forse più nascosto, più profondo, meno comunemente discusso dall’intellighenzia borghese, che amo di più la poesia di Pasolini e la sento parlare anche per me.
Chiara Scidone
In una giornata di un maggio autunnale, Pasolini riflette sulla sua vita e sulla società italiana contemporanea, di fronte alla tomba di Antonio Gramsci. Il cambio repentino che sta subendo è profondamente sentito dal poeta, la realtà rurale viene sostituita da quella nuova proletaria. Pasolini non si sente parte di quest’ultima ma allo stesso tempo ne è anche affascinato, pur sapendo che questa sarà la fine del suo mondo.
Elisabetta Biondi della Sdriscia
Poesia sulla morte e insieme poesia della vita, Le ceneri di Gramsci rappresentano una pietra miliare della poesia pasoliniana e della letteratura contemporanea: nei suoi versi inarcati gli uni sugli altri, come anse del Tevere, ad intessere un canto in cui vibra costantemente eco della grande tradizione poetica italiana – da Dante e Foscolo fino a d’Annunzio e Pascoli – tema civile e dissidio interiore personale e umano del poeta sono intrecciati in modo indistricabile, come lo sono la vita e la morte nel “giardino” che ospita il disadorno monumento funebre di Gramsci. La terzina dantesca – e pascoliana – e l’ampio digredire conferiscono al carme il respiro ampio delle canzoni civili e in più di un’occorrenza, per somiglianza o per antitesi, gli endecasillabi de Le Ceneri richiamano la grande poesia dei Sepolcri, ma il loro fascino unico e irripetibile scaturisce proprio dall’antitesi ripetutamente scandita tra la disperata passione di essere nel mondo, che si rispecchia nella vitalità spontanea di un mondo di borgata chiuso negli orizzonti ristretti e incolti della miseria, e la consapevolezza di essere morto vivo, incapace di delineare “l’ideale che illumina”, imborghesito proprio da quella cultura che potrebbe fornirgli gli strumenti per agire nella storia.