Firenze, 31 maggio 2020 – Un bellissimo ex aequo al vertice del nostro podio di maggio: Kavafis con il post Kavafis e le visioni del piacere (incentrato su una delle sue liriche più belle, Mare al mattino) e Ungaretti con il post La madre di Ungaretti (e cioè, ancora, con un post dedicato a una superpoesia dell’autore, giustamente tra le sue più celebrate e note). Argento da spartirsi tra vari autori, classificatisi alla pari: Cardarelli, il tandem D’Annunzio-Montale e la sublime Emily Dickinson, rispettivamente con Annegare nel tempo. Vincenzo CardarelliD’Annunzio, Montale e il meriggio e Emily Dickinson e il sole. Al terzo posto, ma per un solo voto in meno rispetto ai vincitori della medaglia d’argento, Giacomo Leopardi con Leopardi e il passero solitario. Un  risultato di cui piace sottolineare la varietà delle voci poetiche che avete privilegiato e anche il fatto che la classifica profilatasi alterni grandi nomi della letteratura italiana con grandi nomi della poesia internazionale.

Tra i vostri commenti su Ungaretti segnaliamo quelli di Giacomo Trinci, Damiano Malabaila e Maria Grazia Ferraris. Rispettivamente: “Il sipario di questa scena si apre e si chiude con le due parole “antiche” della nostra tradizione lirica: cuore e sospiro. Il sigillo da stil novo dantesco apre la nuova stagione ungarettiana, dopo la frantumazione metrica dell’allegria dei naufragi e la grande stagione dell’avanguardia. Il canto è disteso, ma con tutte le passate incisioni, abrasioni, ferite e rotture, che lo rifanno comunque nuovo. Come tra i versi-relitti, della stagione dell’allegria, era sepolta in alcuni casi la tenuta musicale dell’endecasillabo e del settenario, così in questa apparente ricomposizione metrica e stilistica tipica della seconda stagione di Ungaretti, l’endecasillabo, il settenario, sillaba ansiosamente la propria presenza, sin dal primo verso. La metrica riemerge dalla balbuzie, e la porta in sé: testimone inesausta. Come il figlio, porta in sé la Madre: sua ferita”; “Trinci ha detto come meglio, credo, non si poteva. Tutta l’invenzione, le immagini e la forma (metro, sintassi…) vivono di questo contrasto tra il canto disteso, l’invocazione lunga, e il balbettio, il frammento, la folgorazione attimale. Non c’è niente da fare, Ungaretti era uno che dove toccava, inventava e creava il nuovo. Non per puro amor di novità (capito, avanguardisti di altri tempi?), ma per una necessità vera”; “Questa rievocazione dell’immagine materna è legata al lutto, ma si esprime in una dimensione religiosa, al confronto con l’aldilà: la condizione della morte della madre spinge l’autore a riflettere su se stesso e sulla propria vita bisognosa di perdono, perché con l’aiuto e la mediazione di lei possa essere riconquistata per lui la perduta innocenza. La dimensione degli affetti è subordinata alla riconquista dei valori morali e segna la coerenza religiosa nel tempo del ruolo materno, l’affettività del periodo dell’infanzia – la decisione di essere la mediatrice, statua davanti all’Eterno – riconfermata come una missione nel momento finale , della morte. L’aspetto individuale, specifico, fisico, della figura materna è ignorato: il corpo è un muro d’ombra, che separa; la Madre (maiuscola), e assume un valore universale,simbolico, e il suo corpo. L’anafora- come una volta mi darai la mano- come già ti vedeva quando eri ancora in vita – come quando spirasti- domina la struttura del testo e sono inseriti e subordinati a una prospettiva religiosa. Non è in gioco la perdita umana, il dolore della perdita, bensì l’ipotesi di un futuro incontro, messa in discussione dalla legge del Dio-Padre”.

A domani, con nuovi autori e nuovi testi!

Marco Marchi

La madre di Ungaretti

VEDI I VIDEO “La madre” letta da Giuseppe Ungaretti , “La madre” cantata da Iva Zanicchi , Ungaretti e il segreto della poesia , Ungaretti si racconta , Ungaretti intervistato da Pasolini (da “Comizi d’amore”, 1965) , “Preghiera”

Firenze, 12 maggio 2020 – Al di là dell’indubbia grandezza monografica di un’opera, Giuseppe Ungaretti è stato e resta un poeta centrale del Novecento italiano nella misura in cui ha saputo rappresentare possibilità della poesia moderna: possibilità effettive e tra loro diverse – contrastanti e perfino internamente al sistema Ungaretti antitetiche, se Ungaretti è stato il poeta di Allegria di Naufragi (poi L’Allegria) e quello del Sentimento del Tempo –, svolte in un contesto specifico (e di volta in volta mutevolmente specifico), con le sue particolarità, i suoi sviluppi, i suoi vantaggi e i suoi ritardi rispetto ad altre tradizioni.

Ungaretti ha vissuto da protagonista un secolo, di quel secolo nutrendosi e a quel secolo facendo scuola. Vita d’un uomo, appunto: siamo con un titolo più volte riconfermato, più di altri ritenuto valevole, riassuntivo di esiti e prima ancora di una disposizione, al nodo cruciale in cui le ragioni della biografia e quelle della produzione letteraria, la vita e la poesia, si affrontano, cercano i loro punti di contatto e insieme demarcano autonomie, siglano competenze.

In realtà paesaggi e scenari biografici presto in Ungaretti si confondono, si annullano e si trasfigurano. La trincea sarà tra poco, per lui proveniente da Alessandria d’Egitto desideroso di appartenenze e patrie ritrovate, un nuovo deserto. Nasce la poesia di Ungaretti, ed anche la partecipazione del poeta alla Grande Guerra reagisce di comporto, nel senso di un’incidenza molto personalizzata di eventi, da «vita d’un uomo».

Il poeta, l’«uomo di pena», le parole, l’armonia. Il «processo di raccoglimento che poté essere aiutato dalla vicenda umana della guerra» presupposto con evidente cautela da un critico acuto come Gianfranco Contini risulta già impostato, se Parigi – laddove una strumentazione storicamente e ibridamente si forma collegando a ritroso Apollinaire a Mallarmé e Mallarmé a Guérin – si è ridotta a «grigi inenarrabili» e anzi, ancora citando, a «sfumature all’infinito smorzate del colore».

Analogamene la nebbia di Milano, dove ad esempio Ungaretti frequenta la casa di un pittore d’avanguardia come Carlo Carrà, si è risolta in un «sentimento d’infinito», ed ogni ambiente esterno ha sedato in partenza rivolte riconducibili ad altri mezzi e ad altre impostazioni, profilando invece, preminenti, i confini dell’io per una cattura in parole della libertà, dell’invocata armonia, dell’innocenza.

La guerra rivela ad Ungaretti – «improvvisamente», come il poeta sottolinea – il linguaggio. E tuttavia il carattere traumatico, drammatico e liberatorio di una condizione registrata ha maturato non da ora risorse e possibilità, ha avuto e avrà bisogno di cultura per ritrovarsi così stabilito ed espressivamente soddisfatto. Perfino il topos romantico-simbolista dell’étranger, aggiornabile e personalizzabile in quello dello «spatriato», si è definito tramite Guérin e Baudelaire, tramite Leopardi: i poeti.

Purificata, ricondotta al suo valore fondante e incorruttibile di monade interna, la parola essenziale cui Ungaretti perviene torna così ad essere il primo atomo di un discorso di rottura senza confronti, ma anche di una conquista ulteriore, imprevista e più ampia: una ricomposizione già agisce all’interno della raccolta, specificandosi in metri sotterranei, sia pure contrastati da una pronuncia rilevata ed isolante di vocaboli, sillabe e suoni.

Si annuncia la ricomposizione del «lungo dissidio» fra tradizione e invenzione, ordine e avventura, che sarà valida fino agli anni estremi. La parola ungarettiana si immerge nel verso, lo ricompone e lo ritrova, tenta un nuovo canto. E sarà l’endecasillabo che suggella Preghiera a gettare un ponte – complice il variantismo, in Ungaretti antistoricamente costitutivo e sistematico –  tra L’Allegria e Sentimento del Tempo: «Quando il mio peso mi sarà leggero / il naufragio concedimi Signore / di quel giovane giorno al primo grido».

E dal Sentimento del Tempo è tratta la classica, giustamente nota La madre, con cui anche noi vogliamo partecipare alla tradizionale Festa della Mamma.

Marco Marchi

La madre

E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

Giuseppe Ungaretti 

(da Sentimento del Tempo, 1933)

I VOSTRI COMMENTI

Antonietta Puri
Il tema umano, la “comprensibilità” di versi connotati da un sereno abbandono al canto, la solennità grave, quasi ieratica, che il poeta conferisce all’immagine materna, fanno di questa poesia di Ungaretti una delle sue liriche più amate. Puntando sul rapporto dialettico tra passato e futuro, vita terrena e aldilà, due mondi separati appena da un “muro d’ombra”, il
poeta immagina l’atteggiamento della madre, dopo la morte, in relazione alle sue abitudini terrene e si figura il momento in cui la propria anima si presenterà al cospetto divino e vedrà la madre – che delinea in modo rigido, scarno, prosciugato, quasi scolpito nella pietra – inginocchiata dinanzi all’Eterno, da cui non distoglierà la sguardo, tutta tesa ad invocare la clemenza per lui…E qui, la rigidità della visione si stempera nella tenerezza filiale, nel dolore nostalgico del poeta che leggiamo nelle espressioni “come una volta”, “quando eri ancora in vita”, “quando spirasti”. Da questi versi commoventi s’innalza la sacralità del rilievo morale e religioso di una figura di madre che, solo dopo il perdono che Dio avrà voluto concedere al figlio, scioglierà in un sospiro gioioso e liberatorio tutti quei pensieri e quei sentimenti dolorosamente trattenuti,in uno sguardo pieno d’amore.

Maria Grazia Ferraris
Questa rievocazione dell’immagine materna è legata al lutto, ma si esprime in una dimensione religiosa, al confronto con l’aldilà: la condizione della morte della madre spinge l’autore a riflettere su se stesso e sulla propria vita bisognosa di perdono, perché con l’aiuto e la mediazione di lei possa essere riconquistata per lui la perduta innocenza. La dimensione degli affetti è subordinata alla riconquista dei valori morali e segna la coerenza religiosa nel tempo del ruolo materno, l’affettività del periodo dell’infanzia- la decisione di essere la mediatrice, statua davanti all’Eterno- riconfermata come una missione nel momento finale , della morte. L’aspetto individuale, specifico, fisico, della figura materna è ignorato: il corpo è un muro d’ombra, che separa; la Madre ( M maiuscola), e assume un valore universale,simbolico, e il suo corpo. L’anafora- come una volta mi darai la mano- come già ti vedeva quando eri ancora in vita – come quando spirasti- domina la struttura del testo e sono inseriti e subordinati a una prospettiva religiosa. Non è in gioco la perdita umana, il dolore della perdita, bensì l’ipotesi di un futuro incontro, messa in discussione dalla legge del Dio-Padre.

tristan51
Adesso “La madre”, ma tanti anni dopo, nel “Taccuino del vecchio”, “Per sempre”: “Senza niuna impazienza sognerò, / mi piegherò al lavoro / che non può mai finire, / e a poco a poco in cima / alle braccia rinate / si riapriranno mani soccorrevoli, / nelle cavità loro / riapparsi gli occhi, ridaranno luce, / e, d’improvviso intatta / sarai risorta, mi farà da guida / di nuovo la tua voce, / per sempre ti rivedo”. Due testi assolutamente da confrontare, perfino semanticamente concorrenziali tra loro nel prevedere, nell’immaginare.

Isola Difederigo
Un monumento di pietà filiale eretto per la madre morta da un poeta che sa come pochi scolpire il linguaggio. Ricorda, per frontalità d’immagine, il ritratto della Grande Madre di Boccioni del quadro “Materia”: lì con quelle mani intrecciate in primo piano in atteggiamento accogliente, protettivo; qui con queste espressionistiche “vecchie braccia” tese in atto di supplica. A fare la differenza, tra la vita e la morte, tra il tempo della storia e il sentimento del tempo, il “rapido sorriso” della visione che dilegua.

Antonella Bottari
Il rapporto madre-figlio, come anche il tema della morte vengono vagliati in una prospettiva religiosa, che pone in sottotraccia la terrestrità. Ungaretti riflette sulla propria morte che gli permetterà di ricongiungersi alla madre, ma occorre che sia lei ad invocare il perdono divino affinché tale ricongiungimento possa realizzarsi. E’ un estremo gesto di amore che, proprio perché volto all’intercessione divina, non ammette terrene manifestazioni di affetti; infatti leggiamo nel testo “E solo quando m’avrà perdonato, | ti verrà desiderio di guardarmi“. È la prospettiva religiosa a prevalere e rimanda al dopo la dimensione umana della manifestazione affettiva e, non a caso, rende la madre “una statua davanti all’Eterno”, cosicché ella mantiene la rigidità morale che la caratterizzava quando era in vita. Anche la morte punta verso l’aldilà e non verso gli affetti terreni: ”Mio Dio eccomi”, dice infatti la madre sul punto di morire; né è presente la dimensione dell’io sofferente per la morte della madre, poiché il poeta costruisce il componimento esclusivamente sull’ipotesi d’incontro con lei, che, in una sorta di triangolo amoroso, esercita la sua funzione mediatrice, quale condicio sine qua non per congiungersi affettivamente al figlio. Ancora: ” E il cuore …| avrà fatto cadere il muro d’ombra” ; la valenza semantica che il poeta vi attribuisce è l’intero percorso della vita con i suoi possibili errori ad essere ombra che, come baluardo pietroso, impedisce l’ascesa a Dio. La sacralità nel testo si evince anche dall’iniziale maiuscola della parola Madre, e appare perciò anche per tale motivo lontana dalla realtà terrena, tutta proiettata nel ruolo di “Santa mediatrice”. Il Simbolismo ermetico in cui si inserisce il poeta determina anche la soggettività emotiva e sentimentale, quasi patetica con la quale viene rappresentata la madre morta: “mi darai la mano”; “Alzerai tremante le vecchie braccia”; qui l’autore, dopo la stagione più esclusivamente ermetica della raccolta L’Allegria, non solo mostra di avere ritrovato la dimensione dell’Eterno, ma anche la metrica e lo stile tradizionale, infatti nella lirica domina un linguaggio caratterizzato da ricercata semplicità evangelica; proprio per questo, il verso diviene prezioso e sublime.

Paolo Parrini
Una poesia intrisa d’amore, di perdita e di speranza in un nuovo abbraccio dopo la morte di questo corpo terreno. Mi viene in mente la meravigliosa poesia di Giacomo Trinci alla madre, ove lo slancio soprannaturale di Ungaretti e’ dolore vivo “un morso asciutto”, e’ “il sunto di un racconto della carne”. Due visioni altissime, tra il dolore della carne e le vette della speranza oltre il nostro tempo mortale. Tra le due eccellenze, il” morso asciutto” si staglia, vivido nell’aria, nella carne, nell’anima.

Duccio Mugnai
Dopo le esperienze devastanti della guerra, “attivamente” registrate in Allegria di Naufragi, la conversione poetica e religiosa di Ungaretti passa necessariamente per l’elaborazione della figura della madre. E’ lei un punto fermo dell’esistenza e dell’immaginario poetico dell’autore. A lei si legano i suoi ricordi d’infanzia e del rosario recitato dopo cena ad Alessandria d’Egitto. A questa figura si appella l’impulso creativo, memoriale ed affettivo di Ungaretti, per seguire una via religiosa, che ormai sembra l’unica percorribile dopo la negazione dei valori da parte della guerra e la scoperta di un’umanità, una fraternità congelata nella terribilità della paura e della violenza, nella percezione agonizzante di un’estrema finitudine.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
Dopo le esperienze devastanti della guerra, “attivamente” registrate in “Allegria di Naufragi”, la conversione poetica e religiosa di Ungaretti passa necessariamente per l’elaborazione della figura della madre. E’ lei un punto fermo dell’esistenza e dell’immaginario poetico dell’autore. A lei si legano i suoi ricordi d’infanzia e del rosario recitato dopo cena ad Alessandria d’Egitto. A questa figura si appella l’impulso creativo, memoriale ed affettivo di Ungaretti, per seguire una via religiosa, che ormai sembra l’unica percorribile dopo la negazione dei valori da parte della guerra e la scoperta di un’umanità, una fraternità congelata nella terribilità della paura e della violenza, nella percezione agonizzante di un’estrema finitudine.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
La madre di Ungaretti mi richiama alla mente, per antitesi, “La ballata delle madri” di Pasolini. La madre evocata dai versi commossi di Ungaretti è la Madre, l’educatrice, che nell’inflessibilità dei suoi saldi principi non deroga al suo ruolo di guida sicura nemmeno per un istante. È la madre che sa prendere per mano il figlio per accompagnare i suoi passi sulla strada della vita: mano salda e sicura, che esprime il suo amore con la forza dell’esempio e della fermezza più assoluta. Tutto quello che le madri della ballata pasoliniana non sono, forse tutto quello che noi madri di oggi non sappiamo più essere. Nonostante l’amore.

Giacomo Trinci
Il sipario di questa scena si apre e si chiude con le due parole “antiche” della nostra tradizione lirica: cuore e sospiro. Il sigillo da stil novo dantesco apre la nuova stagione ungarettiana, dopo la frantumazione metrica dell’allegria dei naufragi e la grande stagione dell’avanguardia. Il canto è disteso, ma con tutte le passate incisioni, abrasioni, ferite e rotture, che lo rifanno comunque nuovo. Come tra i versi-relitti, della stagione dell’allegria, era sepolta in alcuni casi la tenuta musicale dell’endecasillabo e del settenario, così in questa apparente ricomposizione metrica e stilistica tipica della seconda stagione di Ungaretti, l’endecasillabo, il settenario, sillaba ansiosamente la propria presenza, sin dal primo verso. La metrica riemerge dalla balbuzie, e la porta in sé: testimone inesausta. Come il figlio, porta in sé la Madre: sua ferita.

Chiara Scidone
Il poeta sogna di ricongiungersi finalmente con la madre nell’aldilà ed ella lo conduce davanti al giudizio e al perdono di Dio. La madre ha il ruolo di mediatrice che inizialmente, nei primi versi, si presenta leggermente severa ma poi torna a essere affettuosa negli ultimi. L’amore tra madre e figlio in questo componimento supera i limiti della morte, penso che sia un’ottima poesia per festeggiare la festa della mamma.

Damiano Malabaila
Trinci ha detto come meglio, credo, non si poteva. Tutta l’invenzione, le immagini e la forma (metro, sintassi…) vivono di questo contrasto tra il canto disteso, l’invocazione lunga, e il balbettio, il frammento, la folgorazione attimale. Non c’è niente da fare, Ungaretti era uno che dove toccava, inventava e creava il nuovo. Non per puro amor di novità (capito, avanguardisti di altri tempi?), ma per una necessità vera

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