30 giugno 2019 – Gradino più alto del podio internazionale, stavolta, con la vittoria meritatissima ma non facilmente prevedibile per il mese di giugno del grande poeta russo Arsenij Tarkovskij, il padre del celebre regista Andrej (L’estate di Arsenij Tarkovskij) . Che poesia, quella di Arsenij Tarkovskij! Gli fanno corona quattro autori italiani prestigiosi, rappresentanti di primo piano del nostro Novecento, e il grandissimo Ezra Pound. Ex aequo alla medaglia d’argento, infatti, con Luzi e Tozzi (rispettivamente con Luzi, la madre e Adonis e Tozzi novelliere), ed ex aequo alla medaglia di bronzo con Palazzeschi e Pound-Pasolini (Povera porta mia! Aldo Palazzeschi e Patto. Pasolini incontra Pound).

Tra i vostri commenti a E’ fuggita l’estate segnaliamo con piacere quelli di framo, Matteo Mazzone e Antonietta Puri. Nell’ordine: “‘Scende la sera, i campi diventano azzurri, la terra orfana. Chi mi aiuta ad attingere l’acqua dal pozzo profondo? Non ho nulla, ho perduto tutto lungo il cammino. Dico addio al giorno, incontro la stella. Dammi da bere’ (da ‘La culla’). Parole di un passante sensibile e irrequieto, come noi. Eppure chi le pronuncia non è un viandante qualsiasi. Alla finitezza umana e del mondo, al flusso inesorabile della storia e agli scacchi del destino, eppure lui è riuscito a sottrarre e a trattenere stati intensi di esperienza sensoriale, sprazzi di benessere e quiete, bagliori di gratitudine e di matura accettazione, spazi simbolici di rara bellezza (la foglia che, posandosi, si trasfigura in farfalla, o in altra mano, o in stella …). Pause terrestri di rarefatta sospensione … oasi troppo esigue di incorrotta natura (‘non sono bruciate le foglie, non si sono spezzati i rami’). Troppo poco e troppo effimero, però, per placare la sete di un viaggiatore inquieto e solitario che necessita di una sempre più inattingibile sorgente d’acqua profonda. Meravigliosa”; “Una poesia come saggio della vita che muta di stagione in stazione: dalla tenue e sottaciuta primavera, da sempre tempo di nascita, di vita tenera ed appena affacciatasi nel principio di realtà, alla poi sua strutturazione, ora salda e invincibilmente sicura, esemplificata nel periodo estatino, al tramonto tardo e lento di questa in autunno, fino alla sparizione innegabile, alla glaciazione marmorea, funerea, rappresentata dall’inverno. Ma ora é la maturazione del poeta che lo spinge ad interrogarsi su di una vita passata – ‘la vita mi prendeva’ – dove l’uso dell’imperfetto, come tempo del non ritorno, del compiuto e del non più già attuabile, segnala il suo definitivo congedo da una realtà esistenziale certa ed indubbia. Eppure ancora il germe del dubbio e della meditazione, metaforicamente rappresentata dall’autunno (‘non sono bruciate le foglie’) e dall’inverno (‘non si sono spezzati i rami’), sembra tardare, quasi come se l’autore volesse posticipare, per scaramanzia, una condizione che già si presenta segnata da tappe individuate ed individuabili: la sera pascoliana come tramonto e vecchiezza, l’inverno celaniano come rigida nera danza della morte. Dalla formosa e panica estate dannunziana, alla sua mite e sofferta conclusione in Tarkovskij”; “‘I can’t get no satisfaction, ‘cause I try, and I try and I try…’. La poesia di Tarkovskij è il manifesto di uno scontento esistenziale, è la sensazione di impotenza e di malinconia a tutti nota, soprattutto al declinare dell’estate, ma questa volta sembra trattarsi di qualcosa che somiglia più all’insaziabilità che alla semplice insoddisfazione, all’incolmabilità e all’ imperfezione, più che all’ incompiutezza. Credo dipenda ancora una volta (la troviamo spesso nei poeti) da quella molesta consapevolezza di aver appena sfiorato l’acme… che già, inevitabilmente dobbiamo retrocedere, senza poter più andare avanti, anzi senza poter andare oltre, verso il sublime , almeno con nessuno dei nostri mezzi terreni. Il tempo fugge e noi proviamo a rincorrerlo (and I try, and I try…): forse dovremmo fermaci e fare silenzio dentro di noi e godere di quell’attimo di atemporalità e di aspazialità che nasconde l’eterno”.

Auguri per un’estate felice, e da domani, giorno dopo giorno, prima che l’estate sia per ognuno di noi fuggita, le nostre poesie e i nostri poeti di luglio!

Marco Marchi

L’estate di Arsenij Tarkovskij

VEDI I VIDEO “È fuggita l’estate” di Arsenij Tarkovskij, da “Stalker” di Andrej Tarkovskij , “È fuggita l’estate” in russo , … e cantata da Sofia Rotaru , “Morire in levità , “Primi incontri”, da “Lo specchio” di Andrej Tarkovskij , Andrej Tarkovskij parla del cinema e del padre Arsenij

Firenze, 10 giugno 2019

E’ fuggita l’estate

E’ fuggita l’estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppur questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppur questo non basta.

Ne’ il bene ne’ il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppur questo non basta.

La vita mi prendeva,
sotto l’ala mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppur questo non basta.

Non sono bruciate le foglie,
non si sono spezzati i rami…
Il giorno è terso come cristallo.
Eppur questo non basta.

Арсений Тарковский

Вот и лето прошло,
Словно и не бывало.
На пригреве тепло.
Только этого мало.

Все, что сбыться могло,
Мне, как лист пятипалый,
Прямо в руки легло,
Только этого мало.

Понапрасну ни зло,
Ни добро не пропало,
Все горело светло,
Только этого мало.

Жизнь брала под крыло,
Берегла и спасала,
Мне и вправду везло.
Только этого мало.

Листьев не обожгло,
Веток не обломало…
День промыт, как стекло,
Только этого мало.

Arsenij Tarkovskij

(1967)

I VOSTRI COMMENTI

tristan51
A quali altezze ci solleva la poesia di Arsenij Tarkovskij!

Paolo Parrini
Non basta il cielo terso, non può bastare all’uomo, che deve scontare tutta la vita la coscienza della morte che verrà.Intorno a questo doloroso rovello, le anime nobili, sensibili, intessono trame multicolori, oppure piangono disperatamente.Ma resta il dover conciliare l’inconciliabile, la nostra finitezza con la grandezza, le vette che taluni di noi, i Poeti, appunto possono raggiungere.Allora il sole tiepido, il cielo limpido, la foglia a cinque punte, tutto concorre a far sgorgare una nostalgia terribile, dolorosamente umana di quel che perderemo inevitabilmente. Resta un Canto sublime, il rimpianto intriso d’amore e di gratitudine per i doni avuti,resta l’amarezza e il lancinante sentire che li perderemo.

Elisabetta Biondi della Sdriscia
L’estate come metafora della vita nella sua pienezza, intesa come giovinezza ma anche come pienezza di possibilità, pienezza di sogni ancora intatti: l’estate è fuggita, subitanea è la sua scomparsa, e il vuoto che lascia non si può colmare.

Antonietta Puri
“I can’t get no satisfaction, ‘cause I try, and I try and I try…”. La poesia di Tarkovskij è il manifesto di uno scontento esistenziale, è la sensazione di impotenza e di malinconia a tutti nota, soprattutto al declinare dell’estate, ma questa volta sembra trattarsi di qualcosa che somiglia più all’insaziabilità che alla semplice insoddisfazione, all’incolmabilità e all’ imperfezione, più che all’ incompiutezza. Credo dipenda ancora una volta (la troviamo spesso nei poeti) da quella molesta consapevolezza di aver appena sfiorato l’acme… che già, inevitabilmente dobbiamo retrocedere, senza poter più andare avanti, anzi senza poter andare oltre, verso il sublime , almeno con nessuno dei nostri mezzi terreni. Il tempo fugge e noi proviamo a rincorrerlo (and I try, and I try…): forse dovremmo fermaci e fare silenzio dentro di noi e godere di quell’attimo di atemporalità e di aspazialità che nasconde l’eterno.

Antonella Bottari
Costretto al silenzio il Nostro. Con in mano una Stella Rossa ( la foglia a cinque punte ) per meriti militari che ha pagato ben cara. Da considerare come la sua patria lo abbia costretto al silenzio anche a causa delle sue frequentazioni con la Achmatova e Mandel’stam. Traduce da molte lingue, ricrea quindi da altri popoli la forza generatrice che ciascuno di essi reca con sé; senza mai smettere di approfondire il significante della sua personale scrittura. Così che oggi noi possiamo leggere nel Verso denso di verità quel senso di perdita e di solitudine dell’ uomo. Che appartiene a ciascuno pur se in diversa misura. Che c’è in ogni anima che anela al perfetto, al bello, al giusto per sé che sia anche patrimonio del mondo.
Anima che anela, sola, con una foglia. Grande Tarkovskij.

Maria Grazia Ferraris
Un titolo emblematico-E’ fuggita l’estate-, che coglie nella riflessione malinconica e solitaria non solo il passare del tempo, ma soprattutto la sospensione dell’animo. T. sembra estraneo alla storia, parla con dolore misurato, con attenzione partecipe, sa cogliere la vita, la situazione umana, nella diversità dei confronti della natura e del suo respiro. Nella ricerca di sé, che per l’essere umano è sempre perdente, la natura, appare meravigliosa nella sua ripetitiva sicurezza ciclica, e sa offrire i suoi doni: l’ultimo sole, la foglia tardiva, l’ultima luce, .. ma all’uomo non basta: i sogni della vita ancora e sempre sono in attesa di realizzazione, l’esperienza storica comunque l’ha deluso, anche quando l’ha protetto e le catastrofi l’hanno risparmiato…La vita, per quanto splendida e meravigliosa, è sempre guerra e sconfitta e la risposta storica dei suoi terribili anni in Russia passa attraverso il silenzio, la censura, la fuga, il disconoscimento poetico. “Sono colui che è vissuto nel proprio tempo / senza essere sé.”

tristan51
La poesia, la musica, l’arte, ma anche la natura…. Con i loro imprevisti miracoli, con le loro soggioganti seduzioni e i loro risarcimenti. Ma purtroppo, come giustamente dice Madame Merle a Isabel Archer nel “Ritratto di signora” di Henri James, “ci sono momenti in cui nemmeno Schubert può dirci qualcosa”. Arsenij Tarkowskij registra da par suo, in poesia, queste evenienze nefaste, queste deficienze e queste dolorose amputazioni della balenata pienezza, queste rotture dell’idillio.

Aretusa Obliviosa
Forse in questo periodo dell’anno proprio questo fa male: il fatto che la fine dell’estate ci fa provare sulla nostra pelle, come un memento mori velato ma non per questo meno presente, che la fine è lì, ad attenderci al varco, e che quella magnifica danza che ci aveva travolti e rapiti con il suo vorticoso flusso vitale si dilegua in un attimo. E nulla può restituirci lo slancio e l’energia di ciò che è stato.

framo
“Scende la sera, i campi diventano azzurri, la terra orfana. Chi mi aiuta ad attingere l’acqua dal pozzo profondo? Non ho nulla, ho perduto tutto lungo il cammino. Dico addio al giorno, incontro la stella. Dammi da bere” (da “La culla”). Parole di un passante sensibile e irrequieto, come noi. Eppure chi le pronuncia non è un viandante qualsiasi. Alla finitezza umana e del mondo, al flusso inesorabile della storia e agli scacchi del destino, eppure lui è riuscito a sottrarre e a trattenere stati intensi di esperienza sensoriale, sprazzi di benessere e quiete, bagliori di gratitudine e di matura accettazione, spazi simbolici di rara bellezza (la foglia che, posandosi, si trasfigura in farfalla, o in altra mano, o in stella …). Pause terrestri di rarefatta sospensione … oasi troppo esigue di incorrotta natura (“non sono bruciate le foglie, non si sono spezzati i rami”). Troppo poco e troppo effimero, però, per placare la sete di un viaggiatore inquieto e solitario che necessita di una sempre più inattingibile sorgente d’acqua profonda. Meravigliosa.

Lorenzo Dini
“E il mai tacente il mai convinto cuore”. Questo verso di Zanzotto (“Idea”, in “Vocativo”) mi sembra che possa essere accostato a quel refrain, quasi cantilenato, di “Eppure questo non basta”. Il poeta è infatti, per vocazione, sempre spinto in avanti da una forza oscura e amica. Non si accontenta delle risposte ordinarie sull’esistenza, non si accontenta delle gioie effimere. E’ destinato a varcare sempre un confine.oscura e amica. Non si accontenta delle risposte ordinarie sull’esistenza, non si accontenta delle gioie effimere. E’ destinato a varcare sempre un confine.

Damiano Malabaila
“Io ogni giorno del passato, come una puntellatura, / con le mie clavicole ho sostenuto, / misurai il tempo con la catena dell’agrimensore / ed attraverso esso sono passato, come attraverso gli Urali.” (Vita, vita)

Isola Difederigo
Ed ecco, a tutt’altre latitudini geografiche ed esperienziali ma ancora tra foglie e fiori nella tersa luminosità del giorno, i versi di una “poetessa pastora” innamorata dell’estate e della pienezza della vita a cui l’estate arride e per lei fuggita per sempre: “Muore l’estate come un gran giorno, / come si muore sopra la spina / come si muore senza ritorno, / lungo la siepe, rosa canina” (Dina Ferri, “Quaderno del nulla”).

Matteo Mazzone
Una poesia come saggio della vita che muta di stagione in stazione: dalla tenue e sottaciuta primavera, da sempre tempo di nascita, di vita tenera ed appena affacciatasi nel principio di realtà, alla poi sua strutturazione, ora salda e invincibilmente sicura, esemplificata nel periodo estatino, al tramonto tardo e lento di questa in autunno, fino alla sparizione innegabile, alla glaciazione marmorea, funerea, rappresentata dall’inverno. Ma ora é la maturazione del poeta che lo spinge ad interrogarsi su di una vita passata – “la vita mi prendeva” – dove l’uso dell’imperfetto, come tempo del non ritorno, del compiuto e del non più già attuabile, segnala il suo definitivo congedo da una realtà esistenziale certa ed indubbia. Eppure ancora il germe del dubbio e della meditazione, metaforicamente rappresentata dall’autunno (“non sono bruciate le foglie”) e dall’inverno (“non si sono spezzati i rami”), sembra tardare, quasi come se l’autore volesse posticipare, per scaramanzia, una condizione che già si presenta segnata da tappe individuate ed individuabili: la sera pascoliana come tramonto e vecchiezza, l’inverno celaniano come rigida nera danza della morte. Dalla formosa e panica estate dannunziana, alla sua mite e sofferta conclusione in Tarkovskij.

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