Pubblicato il 30 giugno 2018

‘Notizie di poesia’. Giugno, il post del mese (con i vostri commenti)

Firenze, 30 giugno 2016 – E’ il post “Patto. Pasolini incontra Pound” ad aggiudicarsi il gradino più alto del podio della nostra gara di giugno, e al suo successo ha sicuramente concorso la sua naturale prosecuzione rappresentata dal post del giorno successivo, Strappa da te le vanità. Ancora Pound e Pasolini. Al secondo posto, a […]

di Marco Marchi

Firenze, 30 giugno 2016 – E’ il post “Patto. Pasolini incontra Pound” ad aggiudicarsi il gradino più alto del podio della nostra gara di giugno, e al suo successo ha sicuramente concorso la sua naturale prosecuzione rappresentata dal post del giorno successivo, Strappa da te le vanità. Ancora Pound e Pasolini. Al secondo posto, a pari merito, ancora un’accoppiata di poeti, ciascuno però con un proprio post: Leopardi con Leopardi e il passero solitario e Palazzeschi con Povera porta mia! Aldo Palazzeschi. Anche la medaglia di bronzo risulta condivisa, addirittura equamente spartita fra tre poeti – Borges, Luzi e Adonis –, dato che al terzo posto si impongono, all’insegna di nazionalità ed internazionalità, Tra limiti ed infinito. Jorge Luis Borges e Luzi, la madre e Adonis. Una classifica davvero bella, una schiera davvero eletta!

Tra i vostri commenti, i tre di giugno prescelti recano la firma di Giacomo Trinci, Antonietta Puri e Matteo Mazzone. Rispettivamente: “Testimonianza commovente e asciutta insieme di un cammino di poesia che, come la vita, testimonia il suo valore stesso non rilevandolo dall’esterno, come un riferimento appunto retorico, ma tutto dall’interno, bruciato in un azione del fare la Forma materiata di caos, di magma, e che segna insieme il percorso di Pound e Pasolini. Il vecchio fabbro e il giovane maestro, toccati entrambi dal vento provenzale, dal dolce e crudo medioevo, affondano lo stilo nel magmatico cosmo tutto-lingua, tutto silenzio. Mare magma di civiltà spente e sepolte, di lingue arcaiche, contadine millenarie. Un sopravvissuto e un giovane navigatore, contrastato e conquistato dall’occhio sapiente del Maestro di vite e morti. Da leggere e ascoltare nei suoi sapienti silenzi e nelle sue folli ecolalìe sonore.Due esuli figli, fratelli, dal neocapilastico inferno in terre materne e perdute: quelle del Poema potenzialmente infinito, cui ‘ha posto mano terra e cielo'”; “Un giovane Pasolini manifestamente emozionato; un giovane intellettuale che, dopo tanto becero moralismo dei benpensanti, sta cominciando a raccogliere i frutti del suo genio e del suo impegno, sta lì, di fronte a un vecchio temprato dalla vita che niente più turba: Ezra Pound; un vecchio padre dalla testa dura con il quale lui, fanciullo ormai cresciuto, sente il bisogno di una riconciliazione formale. E’ un evento dalla portata storica l’incontro di questi due gemelli diversi: rivoluzionari ma antitetici, geniali eppur bistrattati, figli di due regimi totalitari – seppur contrapposti – ma evidentemente inappartenenti e non ascrivibili a nessun recinto ideologico; responsabili entrambi di scelte di vita al limite dello scandalo; entrambi intellettuali anticonvenzionali e pronti a mettersi in gioco con coraggio. Tra di loro – quasi arbitro – si erge lo spettro del Bardo statunitense, Walt Whitman, l’altro padre dalla testa dura con il quale Ezra, prima ancora di Pier Paolo, aveva cercato una riconciliazione, la sintesi di un processo dialettico i cui termini contrapposti erano l’amore e l’odio. Davvero bello questo rimando al Patto di Ezra Pound che viene ripreso da Pasolini per dedicarglielo, con qualche piccola indispensabile modifica, conciliando così due intelligenze lontane ma affini, discolpandosi al tempo stesso della propria ammirazione per l’uomo e per il poeta grandissimo che una volta aveva stigmatizzato come delirante, se non folle, per la sua aperta ammirazione per il fascismo di Mussolini. E dunque, per dirla con un calmo e distaccato Pound, ‘Bene…Amici allora…Pax tibi…Pax mundi’”; “Due delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso le quali si accende nuovamente da parte del lettore quel mio concetto di “oggettività d’ammirazione”, in quanto personificatori di un’arte unanime, globale, per tutti. Una poesia-sodalizio, quella di ‘Patto’, che avrebbe potuto scrivere lo stesso Pier Paolo, ormai maturo e puro, consapevole che la conoscenza oltrepassa ogni barriera ideologicamente connotata. Sarebbe bastato cambiare solo il nome al primo verso: ‘Stringo un patto con te, Ezra Pound. / Ti ho detestato ormai per troppo tempo. / Vengo a te come un figlio cresciuto / che ha avuto un padre dalla testa dura’. L’intervista di Pasolini diviene patto di fedeltà spiritual-letteraria, riconoscimento vero ed autentico, in virtù di un decisivo impegno culturale ipostaticamente rappresentato da Pound. Dipoi si noti lo stupendo ritratto dei due: esso diventa specchio riflesso delle loro condizioni psicologiche: ad un sereno vecchio Pound, con gambe incrociate ed animo tranquillo, conscio di aver dato i natali letterari a T. S. Eliot, si contrappone un Pasolini raramente timido, curvo, che svia il suo sguardo sulle carte dell’intervista tenute sulle ginocchia, internamente ed interamente commosso, felice e sempre appassionato”.

Buona estate a tutti con la poesia che non va in vacanza e che ci segue dovunque!

Marco Marchi

Patto. Pasolini incontra Pound

VEDI I VIDEO Dall’intervista a Ezra Pound di Pier Paolo Pasolini (1967) , Un estratto più ampio , “Patto” di Pound letto e commentato da Pasolini , Pound dice “With Usura” , Biografia: “Ezra Pound, il miglior fabbro”

Firenze, 8 giugno 2018 – È stato Enzo Siciliano, in quello che resta con tutta probabilità il suo libro più bello, la Vita di Pasolini, a testimoniare della iniziale indisponibilità di Pasolini a riconoscere la grandezza di Pound: diciamo pure della sua insofferenza sub specie ideologica ad affrontare il caso, ad accedervi veramente tramite quella costituitasi chiave preferenziale deliberatamente bilanciata tra ‘passione e ideologia’ e così, in tali termini, efficiente. Una chiave d’accesso soggetta tuttavia ai mutamenti del tempo, sensibile e storicizzabile anch’essa, instabilmente disposta a revisioni, calibrature e assestamenti, perfino in balia di stati d’animo.

L’episodio narrato da Siciliano è rivelatore: «Quando lo conobbi, ed era il 1956, avevo appena scritto un articolo su Le ceneri di Gramsci,  il singolo poemetto stampato nella serie di “Nuovi Argomenti“ di Alberto Carocci e Moravia. Lo incontrai nella sua casa romana di via Donna Olimpia. Mi chiese cosa leggessi, e gli parlai di Ezra Pound. Avevo letto e riletto i Pisan Cantos. Mi accanivo a tradurre qualche stralcio da Rock-Drill 85-95 de los cantares. Ebbe una reazione furiosa: Pound razzista, fascista eccetera». «Quel primo incontro fra noi – continua Siciliano – andò male. Quanto a me, militavo a sinistra: ma perché avrei dovuto negare che Pound fosse un grande poeta? In lui leggevo la tragedia della storia e dell’umanesimo vissuta dentro la barbarie della guerra dei nazisti e dei fascisti, Pound era il barbaro penitente, messo tangibilmente a nudo nella gabbia di Pisa, un Whitman redivivo che ha perso e lasciato sfumare in nero la panica bellezza del vivere».

E il problema fondamentale, l’interrogativo più inquietante e più bisognoso di risposte è proprio quello proposto dal giovane Siciliano: l’impossibilità di sacrificare sull’altare dell’ideologia l’autoevidente, luminosa e incontrovertibile grandezza di un autore. Siamo, si ricordi, a metà degli anni Cinquanta: gli anni in cui Pasolini è un autore letterario, meglio un poeta, un poeta che a varie forme della poesia si affida, ma non ancora un regista; un poeta impegnato, un poeta ideologizzato e già sufficientemente eretico e imbarazzante per i suoi, per la sua parte. Le ceneri di Gramsci non sono ancora diventati la raccolta edita da Garzanti (lo sarà l’anno dopo), ma il tema della coniugazione storia-coscienza-poesia costituisce già per Pasolini un banco di prova ineludibile e prima ancora, dopo La scoperta di Marx a suggello dell’Usignolo della Chiesa Cattolica, una base fondante.

C’era in Pasolini, detto in altro modo, nel Pasolini di quegli anni, la fiducia – sia pure drammaticamente contesta ed incrinata, dubitata e contraddetta – in una possibilità di incidere sull’evoluzione stessa di quella Storia, di poter offrire un determinato contributo di collaborazione a un vero progresso umano, ad un progetto migliorativo gramscianamente societario nel cui cerchio includere, come sempre in Pasolini potentemente e immancabilmente accade, le trame di una propria esistenza, di una propria visione in nero (come in Whitman, come in Pound, a ben vedere), infera e invece desiderosa di luci, di trasparenze e iridescenze del vivere, di riscatti umani e prima ancora di compartecipazioni, di vicende comuni (magari proprio quelle esaltanti concesse dalla poesia, sconfinate e inclusive, senza distinzioni tra la vita e la morte).

«Passarono gli anni – prosegue la rievocazione di Siciliano –. Pasolini incontrò Pound: ne risultò una testimonianza, mai più replicata, d’ottima televisione, un’intervista. Nelle rughe, nelle sclere secche del vecchio Pound c’era lo sconvolgimento di un Occidente che si vedeva travolto dalle proprie stesse ragioni di vita, nella propria sapienza conoscitiva. E Pasolini gli stava di fronte: le sue domande specchiavano una medesima disperazione, la stessa apocalisse –, lontani entrambi da qualsiasi connotazione di ideologia e politica, entrambi vivi come esorbitanti poeti fuori norma, disobbedienti a qualsiasi galateo di sanità letteraria, fiduciosi che la Storia comunque andasse per i propri strani sentieri avanti».

Ancora «geni a confronto», forse, come Cavalcanti e Pound, o come Dante e Pasolini, con uno stesso desiderio di conoscersi e di conoscere, di essere vicendevolmente illuminati e rassicurati dalla propria genialità ‘singolare’, inevitabilmente separata e distante e insieme universale e rappresentativa proprio all’insegna della ispirazione, della chiamata della poesia, di una stessa ansia a quella vocazione umanamente incaricata ed essenziale collegata. «Era una duplice verità che veniva a galla – lo dice benissimo Siciliano –, due solitudini che si specchiavano e si cercavano, più moderni di ogni moderno, fratelli che non sono più». E se è vero – come Siciliano conclude – che la poesia di Pasolini rischia l’incomprensibilità «fuori dalla percezione della Storia del Novecento», è altrettanto vero che Pasolini non meno di Pound, effettuando la loro disobbedienza artistica, protestando, affermando con coraggio davvero intrepido disappartenenze a molte cose del mondo nel nome e attraverso la poesia, in realtà obbediscono a richiami cogenti, a ragioni profonde. Sì, ardenti di libertà obbediscono, non possono che obbedire.

L’assenza nel poeta produce del resto presenza: una sorta di «mysterium mortis», per citare un titolo di Ladislaus Boros, una «kenosi del poeta» tutt’altro che paradossalmente confidente nella capacità di esprimere se stessi e il mondo morendo a se stessi e al mondo. Esiliato e morto al mondo Dante, esiliato e morto al mondo Cavalcanti (l’amatissimo Cavalcanti di Pound!), ma tutt’altro che scomparsi i frutti della loro applicazione, le cose viste dai loro strani, distanziati ed implacabili sguardi. Il poeta conosce bene le condizioni notturne del suo operare; ha confidenza con questi stati della creazione in apparenza funerei, sommersi e nostalgicamente attratti, e invece produttivi, vitali, generatori di illuminazioni, avanzamenti e aperture: tali anche nella «disperazione» in atto, nell’«apocalisse» vissuta da Pound e Pasolini in corpo e anima, nell’intimo della loro irrefutabile «esorbitanza» artistica, della loro solitudine poetica imposta.

Ha scritto Ezra Pound a proposito di Cavalcanti nella sua Introduzione a tradotti Sonetti e ballate, coniugando vita ed esercizio della poesia: «Dino Compagni, che lo conobbe, ci ha lasciato forse la più accurata descrizione dicendo che Guido era “cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario”, io almeno me lo raffiguro così. E così lo ritroviamo nelle sue poesie». Ha scritto a sua volta Pasolini, riferendosi a Pound: «Pound chiacchiera nel cosmo. Ciò che lo spinge lassù con le sue incantevoli ecolalie è un trauma che lo ha reso perfettamente inadattabile a questo mondo. L’ulteriore scelta del fascismo è stata per Pound un modo sia per mascherare la sua inadattabilità, sia un alibi per farsi credere presente. In che cosa è consistito questo trauma? Nella scoperta di un mondo contadino all’interno di un mondo industrializzato, di molti decenni in anticipo sull’Europa. Pound ha capito, con abnorme precocità, che il mondo contadino e il mondo industriale sono due realtà inconciliabili: l’esistenza dell’una vuol dire la morte (la scomparsa) dell’altra». E si dica soltanto se dietro a queste analisi e a questi giudizi messi a confronto non si intravedano in ambedue i casi le filigrane dell’autobiografia, le consonanze e gli inevitabili differimenti personalizzanti di ogni nostro pronunciamento. (continua)

Marco Marchi 

Patto

Stringo un patto con te, Walt Whitman.
Ti ho detestato ormai per troppo tempo.
Vengo a te come un figlio cresciuto
che ha avuto un padre dalla testa dura.
Ora sono abbastanza grande per fare amicizia.
Fosti tu ad abbattere il nuovo legno,
ora è tempo d’intagliarlo.
Abbiamo un solo fusto e una sola radice:
ristabiliamo commercio tra noi.

(traduzione di Alfredo Rizzardi)

A Pact

I make a pact with you, Walt Whitman –
I have detested you long enough.
I come to you as a grown child
Who has had a pig-headed father;
I am old enough now to make friends.
It was you that broke the new wood,
Now is a time for carving.
We have one sap and one root –
Let there be commerce between us.

Ezra Pound

(da Poesie scelte, Mondadori)

I VOSTRI COMMENTI

Matteo Mazzone
Due delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso le quali si accende nuovamente da parte del lettore quel mio concetto di “oggettività d’ammirazione”, in quanto personificatori di un’arte unanime, globale, per tutti. Una poesia-sodalizio, quella di “Patto”, che avrebbe potuto scrivere lo stesso Pier Paolo, ormai maturo e puro, consapevole che la conoscenza oltrepassa ogni barriera ideologicamente connotata. Sarebbe bastato cambiare solo il nome al primo verso: “Stringo un patto con te, Ezra Pound. / Ti ho detestato ormai per troppo tempo. / Vengo a te come un figlio cresciuto/ che ha avuto un padre dalla testa dura”. L’intervista di Pasolini diviene patto di fedeltà spiritual-letteraria, riconoscimento vero ed autentico, in virtù di un decisivo impegno culturale ipostaticamente rappresentato da Pound. Dipoi si noti lo stupendo ritratto dei due: esso diventa specchio riflesso delle loro condizioni psicologiche: ad un sereno vecchio Pound, con gambe incrociate ed animo tranquillo, conscio di aver dato i natali letterari a T. S. Eliot, si contrappone un Pasolini raramente timido, curvo, che svia il suo sguardo sulle carte dell’intervista tenute sulle ginocchia, internamente ed interamente commosso, felice e sempre appassionato.

Antonietta Puri
Un giovane Pasolini manifestamente emozionato; un giovane intellettuale che, dopo tanto becero moralismo dei benpensanti, sta cominciando a raccogliere i frutti del suo genio e del suo impegno, sta lì, di fronte a un vecchio temprato dalla vita che niente più turba: Ezra Pound; un vecchio padre dalla testa dura con il quale lui, fanciullo ormai cresciuto, sente il bisogno di una riconciliazione formale. E’ un evento dalla portata storica l’incontro di questi due gemelli diversi: rivoluzionari ma antitetici, geniali eppur bistrattati, figli di due regimi totalitari – seppur contrapposti – ma evidentemente inappartenenti e non ascrivibili a nessun recinto ideologico; responsabili entrambi di scelte di vita al limite dello scandalo; entrambi intellettuali anticonvenzionali e pronti a mettersi in gioco con coraggio. Tra di loro – quasi arbitro – si erge lo spettro del Bardo statunitense, Walt Whitman, l’altro padre dalla testa dura con il quale Ezra, prima ancora di Pier Paolo, aveva cercato una riconciliazione, la sintesi di un processo dialettico i cui termini contrapposti erano l’amore e l’odio. Davvero bello questo rimando al Patto di Ezra Pound che viene ripreso da Pasolini per dedicarglielo, con qualche piccola indispensabile modifica, conciliando così due intelligenze lontane ma affini, discolpandosi al tempo stesso della propria ammirazione per l’uomo e per il poeta grandissimo che una volta aveva stigmatizzato come delirante, se non folle, per la sua aperta ammirazione per il fascismo di Mussolini. E dunque, per dirla con un calmo e distaccato Pound, “Bene…Amici allora…Pax tibi…Pax mundi”.

Duccio Mugnai
Nella mia ingenuità immatura e colpevole di veder poesia come vita, forse non è del tutto errato capire che è rinunciare la colpa più grande, non dire è il vero peccato. Così, possa rifiorire la voce di
Withman, grande ed estremo cantore della vita, anche in mezzo alla barbarie; si possa capire ciò che è squallida agonia, che inutilmente cerca di esistere. Prenderemo coscienza e misura dei nostri accadimenti, confrontandoci con ciò che più ci disgusta e ci irrita. Poesia, come quella di Pound o Pasolini, potrebbe davvero essere campo neutro, eppur semantico, in attesa di nuova mietitura di valori, dove ritrovar se stessi, nonché la propria indiscutibile, umana fragilità, violenta e disperata.

Maria Grazia FerrarisStringo un patto con te, Walt Whitman. / Ti ho detestato ormai per troppo tempo. / Vengo a te come un figlio cresciuto / che ha avuto un padre dalla testa dura. / Ora sono abbastanza grande per fare amicizia. Un documento da meditare nella sua problematica intensità, espressione di due anticonformistiche grandezze ex-lege che si incontrano. I versi saranno ripetuti da Pasolini nell’intervista del 1967 : “Stringo un patto con te, Ezra Pound”: una ammissione forte, matura, che include oltre l’interpretazione poetica una personale ricerca riconciliata del padre: un rapporto analogo a quello Whitman / Pound. Pasolini e Pound si ritrovano nella solitudine da entrambi vissuta, nell’incomprensione dei propri simili che preferivano il giudizio ideologico alla scoperta della grandezza della poesia, sulla tragedia della storia, sulla possibile àncora-salvezza della poesia, e nella scoperta della inconciliabilità di un mondo contadino all’interno di un mondo industrializzato. Posizioni per niente lontane, che fanno riflettere, consonanze insperate, libere parentele, superamento di diffidenze pregiudiziali per cui giustamente anche se non facilmente può essere detto e accettato il finale: “ristabiliamo commercio tra noi”.

Damiano Malabaila
Pound: “la mia prosa è divenuta, in un certo periodo, cruda. Una reazione forse all’entourage molto “perbene”… Pasolini poteva capire queste parole come nessun altro.

Aretusa Obliviosa
Difficile aggiungere qualcosa a quel che bene è stato detto da Matteo e Duccio. Ci si muove navigando a vista fra quel che si è diventati e quel che potremmo essere, o – Dio non voglia – quel che irrecuperabilmente saremmo potuti essere. Si avanza a passo d’uomo e con fare incerto, chiedendosi se la poesia può ancora assolvere al suo ruolo di baluardo di civiltà e di identità, laddove la realtà e il quotidiano sono dimensioni sempre più magmatiche e indistinte, senza più memoria. Pasolini e Pound dovrebbero essere letti come due esempi di superamento delle vecchie ideologie, laddove il superamento non è cancellazione della storia ma riappropriazione di un sè autentico, “without Usura”. Nessuno più di loro potrebbe aprirci gli occhi. Con la poesia non si mangia. È vero. Ma con la poesia si pensa. Ed è anche stato detto da fonti alquanto autorevoli: “Non di solo pane vive l’uomo”

Isola Difederigo
Un patto fra poeti, e fra poeti che si detestano, in nome della Poesia. Un “solo fusto e una sola radice”, l’albero della poesia cresce per Pound e Pasolini, due grandi eslege scopertisi a confronto in odore di fraternità, nelle terre desolate del dopostoria, quando l’orizzonte della civiltà umana è tanto basso da abolire ogni “souffrance”. Solo ora che il legno nuovo è diventato vecchio, un padre anche lui, l’amicizia è ammessa, tra padri e figli dalla testa dura.

framo
“The vital part of my message, taken from the sap and the fibre (of America), is the same as his” (da “What I feel about Walt Whitman” di Pound). Prendendo spunto dal serissimo gioco sostitutivo proposto da Pasolini nella celebre intervista – e concedendoci altre minime licenze e aggiustamenti – chiamiamo a raccolta Whitman, Pound e Pasolini, i tre colossi della poesia universale qui in spirituale compresenza, tra(s)ducendo così la precedente citazione: “la parte vitale dei nostri messaggi, tratta dalla linfa e dalla fibra, ma anche dalla radice del cosmo della poesia autentica, ci coappartiene.” E’ una linfa che dalle radici scorre nel tronco e ridiscende dai rami di “creature sì tanto alte”, un patto di linfa panico che, penetrando, ridà vigore e affratella chiunque si avvicini, per essenza di “albero”, “muschio” o “violette trascorse dal vento”. Resisti lucida, poetica follia, così salubre e necessaria al nostro misero e sempre più greve “mondo”. Che giganti!

tristan51
Un incontro fra grandi! Fulgido. “I am old enough now to make friends”… versi di Pound indirizzati a Whitman validi in senso fraternamente conciliativo anche per Pasolini… Un incontro allargato, fra grandi.

Marco Capecchi
Due giganti.

Chiara Scidone
In “A Pact” il poeta esprime i problemi che ha avuto con i genitori nel crescere, non come persona, ma come artista. Due mondi e due culture che si incontrano e nonostante le differenze, fanno “pace”, fanno un “patto”, come Ezra Pound fece con Walt Whitman nella poesia. Un incontro indimenticabile quello tra Pound e Pasolini.

Giacomo Trinci
Testimonianza commovente e asciutta insieme di un cammino di poesia che, come la vita, testimonia il suo valore stesso non rilevandolo dall’esterno, come un riferimento appunto retorico, ma tutto dall’interno, bruciato in un azione del fare la Forma materiata di caos, di magma, e che segna insieme il percorso di Pound e Pasolini. Il vecchio fabbro e il giovane maestro, toccati entrambi dal vento provenzale, dal dolce e crudo medioevo, affondano lo stilo nel magmatico cosmo tutto-lingua, tutto silenzio. Mare magma di civiltà spente e sepolte, di lingue arcaiche, contadine millenarie. Un sopravvissuto e un giovane navigatore, contrastato e conquistato dall’occhio sapiente del Maestro di vite e morti. Da leggere e ascoltare nei suoi sapienti silenzi e nelle sue folli ecolalìe sonore. Due esuli figli, fratelli, dal neocapilastico inferno in terre materne e perdute: quelle del Poema potenzialmente infinito, cui “ha posto mano terra e cielo”.

Maria Antonietta Rauti
Pasolini e Pound, figure idealmente antitetiche, hanno dato vita ad un confronto fra due poeti legati da pesanti eredità intellettuali. Due outsider che si sono ritagliati un momento nella loro vita che, a ben leggerlo si è trasformato in una testimonianza storica e letteraria straordinaria, che soltanto due pensatori di tale calibro potevano regalarci.

Arianna Capirossi
Il dialogo tra Pasolini e Pound è prova del fatto che la parola poetica possiede il nobile e prezioso potere di affinare gli ingegni e costruire ponti, anche tra territori che pensavamo troppo lontani per essere collegati. La poesia “Il patto” descrive un incontro maturo, uno scambio costruttivo tra punti di vista diversi: un approccio a cui purtroppo siamo sempre meno abituati, a causa dell’assuefazione alla canea di Internet e della televisione, dove gli unici facili applausi vanno alla parola gridata, violenta, rissosa, piuttosto che alla parola raffinata, grave e ponderata. Eppure, la parola dura e monolitica non può avere vita; la poesia è invece parola in evoluzione, malleabile, appunto sempre pronta per essere intagliata. I poeti hanno tutti un unico fusto e una sola radice, e Pasolini e Pound, in fondo, hanno cantato entrambi il medesimo soggetto, seppur con toni diversi: la nostalgia per un mondo, una cultura, un modo di vita in via di dissoluzione.