Firenze, 2 marzo 2018 – Un ex aequo per il mese febbraio! Vincono alla pari la nostra gara del mese scorso due colossi della poesia italiana novecentesca che rispondono ai nomi di Aldo Palazzeschi e Giuseppe Ungaretti, con due post incentrati su loro testi canonici (e molto famosi) che ci riportano alla fulgida stagione creativa del primonovecento, rispettivamente Palazzeschi e la fontana malata (post che oggi ripubblichiamo corredato dei vostri commenti) e I fiumi di Ungaretti (post che onoreremo domani, ripubblicandolo e presentando come al solito i molti commenti raccolti).

Ancora primonovecento al secondo gradino del podio, con l’argento nuovamente ex aequo spartito tra Campana la tenebra e il canto e Nulla di ciò che accade e non ha volto. Anniversario Mario Luzi. Quattro pilastri della nostra letteratura contemporanea, insomma, tra oro e argento! Bronzo infine, internazionale e meritatissimo, per l’incofondibile voce della Plath, con il post Sylvia Plath e il fantasma.

Ed ecco tre fra i vostri commenti palazzeschiani, quelli di Antonietta Puri, Matteo Mazzone e Isola Difederigo. Rispettivamente: “Una lirica in cui Palazzeschi impiega con intelligenza e originalità, con l’uso dell’ironia e del grottesco, i moduli e i procedimenti futuristi. Un tema bizzarro, da fiaba (piace anche ai bambini), la novità del metro che, tuttavia fa il verso alla più onomatopeica delle poesie di D’Annunzio, le sue – appunto – stravaganti onomatopee…, ma anche il suo pessimismo e il suo tedio per la banalità del quotidiano. Una piccola fontana, tutta sola soletta nel cortile si è guastata: gocciola, gorgoglia, tossisce, si schiarisce la voce, tace; si riprende, ma come un cavallo bolso perde sempre più forza e vigoria e soffre, si lamenta, piange : è penosa, molesta, seccante…ossessiva. Ed ecco che la sua angoscia si identifica con quella del poeta e con la nostra: Gesuemaria…, ma chiudetela ‘sta benedetta fontana…! Un grande risultato, quello di Palazzeschi, di limpida efficacia, in questa poesia, a un tempo, esilarante e affliggente”; “La scrittura come importantissimo documento, come raccolta di fragmenta impoetiche, disusate, anticonvenzionali. Essa, dunque, si fa testimonianza di quel lusus-ludus che martellerà come un leitmotiv inceppato tutte le opere romanzesche e poetiche, per presentarci un Palazzeschi sempre pronto allo schizzo, al guizzo, al buffo, al lazzo e parallelamente ad un bilancio esistenziale che, amaramente, cede lentamente il passo alla rassegnazione di una vita che sta per finire. Se Tozzi è il più grande narratore del primo Novecento, se Pasolini è il più grande elegiaco in prosa ed in versi del secondo Novecento, se Zanzotto è il più grande poeta del secondo Novecento, Palazzeschi-Giurlani copre tutto il Novecento come migliore interprete delle sensibilità artistico-stilistiche italiane (almeno le prime), fino ad una personalizzazione propria che fa del gioco, del divertissement un’antifrastica chiave di lettura dell’Italia a lui contemporanea”; “Siamo con questi celebri versi alle soglie del comico, al sofferto approdo di una giovinezza ‘turbata e quasi disperata’ in cerca di riscatto. Non è ancora la glorificazione dell’io e dell’io poetico,come esemplarmente nella ‘Casina di cristallo’ e nella poesia-manifesto ‘E lasciatemi divertire’, ma la direzione è segnata e il traguardo intravisto. Calcare l’onda dell’avanguardiaoffrirà all’ex fanciullino malato un passaporto per la fuoriuscita da sé in un mondo alternativo, secondo una dialettica di esibizione/occultamento dagli equilibri variabili, spinta fino alla propria stessa sparizione, come magnificamente avviene nella fabula di Perelà e nel suo tardo rifacimento manieristico del romanzo ‘Il Doge'”.

Buona lettura e buoni ascolti, e a domani con l’altro vincitore di febbraio, Giuseppe Ungaretti!

Marco  Marchi

Palazzeschi e la fontana malata

VEDI I VIDEO “La fontana malata” (da 0:57) e altre poesie di Aldo Palazzeschi , “La fontana malata” in musica , …e come esercizio scolastico , “I fiori” letta da Paolo Poli , “Lo sconosciuto”

Firenze, 2 febbraio 2018 – Ricordando che il 2 febbraio 1885 nasceva a Firenze Aldo Palazzeschi.

La letteratura si profila subito per Aldo Palazzeschi (quell’Aldo Giurlani che già nella scelta di uno pseudonimo assunto al momento del debutto tende a nascondersi e ambiguamente ad esibirsi), come una grande finzione rivelante, come scena delle dislocazioni dell’io in figure e personaggi, come nuova biografia fantastica di progressivo, liberatorio superamento di quella che lo scrittore avrebbe poi definito, retrospettivamente, «una giovinezza turbata e quasi disperata». Tutto questo all’insegna di un autobiografismo delle possibilità che intreccia autobiografismo della mimesi e del rispecchiamento e autobiografismo del desiderio: dell’alterità avvertita come potenzialità rimasta tale e invece, in scrittura, assolutizzata, resa protagonistica, viva, in sintonia con la verità impavidamente espressa da uno dei celebri motti di Oscar Wilde: «Chi ha più di una volta vissuto, deve più di una volta morire», e in accordo con André Gide – quell’André Gide di cui peraltro è tramandato un giudizio singolarmente lusinghiero su Sorelle Materassi –, quando nel suo La tentative amoureuse, poi raccolto in Le retour de l’enfant prodigue sosteneva: «I nostri libri non saranno infine il racconto fedelissimo di noi stessi, ma piuttosto i nostri inconsolati desideri, l’anelito ad altre vite per sempre vietate, a tutti i gesti impossibili».

La letteratura, la scrittura, l’arte come uno spazio alternativo per maschere dell’impossibile o del creduto tale, per definizioni e incarnazioni di ciò che l’io avrebbe voluto essere e non è stato, per stratagemmi sostitutivi e riparatori di un io profondo cui la vita non ha concesso quella realizzazione di potenzialità nascoste, biograficamente vietate o rese difficili ma esistenzialmente sensibilissime: un teatro immaginario di parole che surroga la vita e insieme la completa, fino, concorrenzialmente, a sostituirla, a prenderne il posto.

Paradossalmente nel libro di versi del debutto poetico palazzeschiano, I cavalli bianchi, del 1905, l’io di chi con le sue parole vorrebbe rivelarsi è grammaticalmente assente, non dice affatto – come sarebbe lecito aspettarsi – di sé, liricamente di sé. Alla soggettività mortificata ed annientata fa invece riscontro il protagonismo in chiave collettiva e impersonale di un altro personaggio: «la gente» (quella gente, diciamo pure, che pone problemi all’io, che, intimidatoria e potente, impone divieti, contrasta il suo libero espletamento espressivo fino a soffocarlo).

Eppure quei testi in cui l’io, sistematicamente vessato e prevaricato, latita ci si rivelano presto, tra inibizione e turbamento di una giovinezza solitaria e «quasi disperata», testi sensibilmente tramati di autobiografismo, o meglio di quella più complessa, occulta «autobiografia del profondo» – secondo una definizione di Luigi Baldacci – disposta a dichiararsi, se non attraverso un io grammaticalmente assunto, attraverso altre risorse della scrittura, specialmente della scrittura poetica: immagini, iterazioni, parole chiave, sonorità, una versificazione che è sostanzialmente una ritmica ossessiva, volta esprimere anch’essa un sostanziale bloccaggio dell’io, una costrizione paragonabile alla circolarità e alla chiusura di immagini ricorrenti, dei movimenti stessi inscenati in quel teatro senza parole dalla gente che va e viene, circolarmente come in un opprimente girone dantesco senza fine.

Gente che guarda, che spia ed inesorabilmente perseguita un io non espressamente dichiarato e reso libero di dichiararsi, impaurito a tal punto, potremmo dire, atterrito, da occultarsi del tutto, da lasciare agli sguardi persecutori di chi lo vorrebbe ininterrottamente scrutare, criticare, condannare, soltanto vaghi indizi della propria presenza, tracce ambigue e misteriose del proprio essere passato di lì, lui braccato, dolorante e in fuga, prima della scomparsa.

In seguito, tuttavia, la scoperta del comico avrebbe risarcito Palazzeschi, ridefinendo a sufficienza per lui gli spazi per sofferenze, inibizioni e conflitti. Come accade esemplarmente nei versi di questa dolorante e insieme esilarante Fontana malata: una sorta di autobiografica proiezione dell’io in una cosa ritratta e sonoramente ascoltata nella sua voce, tra riconosciute disfunzioni dell’esistente e rivincite dell’arte.

Marco Marchi

La fontana malata

Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch…
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace…
di nuovo.
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
Si tace,
non getta
più nulla.
Si tace,
non s’ode
rumore
di sorta
che forse…
che forse
sia morta?
Orrore!
Ah! no.
Rieccola,
ancora
tossisce,
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
chchch…
La tisi
l’uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto….
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte,
mi uccide
quel suo
eterno  tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari…
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...

Aldo Palazzeschi

(da Poesie)

I VOSTRI COMMENTI

Arianna Capirossi
L’unico poeta che ha saputo rendere i rumori poesia, trasfigurando la realtà quotidiana con la magia della parola. Grazie Palazzeschi!

Antonella Bottari
Fin dall’antichità l’ispirazione poetica è associata all’immagine di una sorgente che sul Parnaso è capace di infondere l’ispirazione in chi beva le sue acque. Palazzeschi, riflettendo sul ruolo del poeta e della poesia nel mondo contemporaneo gioca su una ben più prosaica e concreta fontana, per di più “malata”: qui l’antropomorfizzazione dell’oggetto inanimato aggiunge ulteriore ironia e potenzia l’effetto mimetico dell’immagine. Infatti, la fontana tossisce,singhiozza, come da un rubinetto otturato. Il dettaglio realistico dell’otturazione idraulica si fonde con quello analogico del raffreddore. Ne risulta un’immagine comica e giocosa, con cui Palazzeschi vuole attaccare i modelli ingessati e retorici della poesia tradizionale. Il testo propone una parodia consapevole de ” La pioggia nel pineto” compiuta per via metrica, oltre che attraverso un’allusione diretta dal v. 26 in poi. La poesia non è un canto dispiegato, trionfale, alla maniera dannunziana, ma un singhiozzo rotto e lamentoso. Palazzeschi è un futurista e come tale non può che ironizzare anche sui Crepuscolari che prediligono cantare le cose umili, i sentimenti malinconici, il grigiore della vita quotidiana, come negazione del ruolo sociale e civile della poesia. Lontano dall’ostentazione a volte compiaciuta della propria insignificanza, Egli propone un’idea ludica, gioiosa e anarchica della poesia. Questa poetica è riassunta bene da un testo programmatico intitolato Controdolore, pubblicato da Palazzeschi nel 1914 sulla rivista d’ispirazione futurista «Lacerba»:”…Bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L’uomo non può essere considerato seriamente che quando ride […] Nulla è triste profondamente, tutto è gioioso…”.

Isola Difederigo
Siamo con questi celebri versi alle soglie del comico, al sofferto approdo di una giovinezza “turbata e quasi disperata” in cerca di riscatto. Non è ancora la glorificazione dell’io e dell’io poetico,come esemplarmente nella “Casina di cristallo” e nella poesia-manifesto “E lasciatemi divertire”, ma la direzione è segnata e il traguardo intravisto. Calcare l’onda dell’avanguardiaoffrirà all’ex fanciullino malato un passaporto per la fuoriuscita da sé in un mondo alternativo, secondo una dialettica di esibizione/occultamento dagli equilibri variabili, spinta fino alla propria stessa sparizione, come magnificamente avviene nella fabula di Perelà e nel suo tardo rifacimento manieristico del romanzo “Il Doge”.
Matteo Mazzone
La scrittura come importantissimo documento, come raccolta di fragmenta impoetiche, disusate, anticonvenzionali. Essa, dunque, si fa testimonianza di quel lusus-ludus che martellerà come un leitmotiv inceppato tutte le opere romanzesche e poetiche, per presentarci un Palazzeschi sempre pronto allo schizzo, al guizzo, al buffo, al lazzo e parallelamente ad un bilancio esistenziale che, amaramente, cede lentamente il passo alla rassegnazione di una vita che sta per finire. Se Tozzi è il più grande narratore del primo Novecento, se Pasolini è il più grande elegiaco in prosa ed in versi del secondo Novecento, se Zanzotto è il più grande poeta del secondo Novecento, Palazzeschi-Giurlani copre tutto il Novecento come migliore interprete delle sensibilità artistico-stilistiche italiane (almeno le prime), fino ad una personalizzazione propria che fa del gioco, del divertissement un’antifrastica chiave di lettura dell’Italia a lui contemporanea.
Finizio Simona
Nella letteratura di Palazzeschi l’Io si sdoppia in varie figure di finzione. La letteratura come spazio alternativo per delle maschere (Pirandello). A volte in Palazzeschi è protagonista la gente come in “Cavalli bianchi”; quella gente che pone problemi all’Io, soffoca il suo libero pensiero. Nella “Fontana malata” invece: l’Io autobiografico. Fontana che geme a tal punto, che fa sentir male lo stesso “Io” dell’autore.
Lector
Buon compleanno, caro Aldino! Sensibilissimo e profondo osservatore di te stesso e del prossimo, esilarante e trasgressivo artefice di un comico che si regge sul tragico.
Maria Grazia Ferraris
L’ampia dotta presentazione di Aldo Palazzeschi e delle problematiche della sua lirica qui proposta è illuminante: … “l’io di chi con le sue parole vorrebbe rivelarsi ed è grammaticalmente assente…, gli stratagemmi sostitutivi e riparatori di un io profondo cui la vita non ha concesso quella realizzazione di potenzialità nascoste o biograficamente vietate , si trasforma in una ritmica ossessiva, volta esprimere un sostanziale bloccaggio dell’io, una costrizione paragonabile alla circolarità e alla chiusura di immagini ricorrenti” .. Ci chiarisce la complessità di questo Autore, apparentemente facile,infantile, giocoso, i cui testi, in primis la notissima Fontana malata, vengono utilizzati dalla scuola per l’acquisizione di scelte stilistiche significative come l’onomatopea, il fonosimbolismo, il neologismo, la teatralizzazione deformante, la trasgressività di matrice futurista…. Certo è che qui ci troviamo di fronte al dilemma paradossale della non scelta tra la funzione trasgressiva e liberatrice del gioco che obbedisce al principio del piacere e la regressione dolorante dell’Autore che rifiuta le norme sociali e letterarie codificate del poeta tradizionale. Desideri irrealizzati e inconsolati: Andate,/mettete/qualcosa/per farla/ finire,/magari…/ magari/morire.

Chiara Scidone
Tanti auguri Aldo Palazzeschi! Il 2 febbraio del 1885 nasceva un grande poeta e scrittore a Firenze. In questa poesia si può subito notare la semplicità delle parole, perché il poeta stesso rifiutava la definizione di poesia scolastica e ne faceva ironia, infatti nelle sue opere ha sempre reso tutto più facile e giocoso. In questa poesia in particolare lo si può notare dal fatto che la fontana in questione sembri un malato col raffreddore tramite la ripetizione di onomatopee. Palazzeschi è sicuramente uno dei miei scrittori preferiti del 900, adoro il modo in cui nelle sue opere, ha sempre cercato varie sfaccettature del suo io, costruendo tantissimi personaggi a proiezione di sé, a partire da Valentino Core di “riflessi” fino alle sorelle materassi. Unico e inimitabile.

Antonietta Puri
Una lirica in cui Palazzeschi impiega con intelligenza e originalità, con l’uso dell’ironia e del grottesco, i moduli e i procedimenti futuristi. Un tema bizzarro, da fiaba (piace anche ai bambini), la novità del metro che, tuttavia fa il verso alla più onomatopeica delle poesie di D’Annunzio, le sue – appunto – stravaganti onomatopee…, ma anche il suo pessimismo e il suo tedio per la banalità del quotidiano. Una piccola fontana, tutta sola soletta nel cortile si è guastata: gocciola, gorgoglia, tossisce, si schiarisce la voce, tace; si riprende, ma come un cavallo bolso perde sempre più forza e vigoria e soffre, si lamenta, piange : è penosa, molesta, seccante…ossessiva. Ed ecco che la sua angoscia si identifica con quella del poeta e con la nostra: Gesuemaria…, ma chiudetela ‘sta benedetta fontana…! Un grande risultato, quello di Palazzeschi, di limpida efficacia, in questa poesia, a un tempo, esilarante e affliggente.

Tania Montini
Dopo aver esordito con uno stile poetico fiabesco e quasi surreale, il Poeta si avvicina al movimento futurista del Marinetti, iniziando a scrivere poesie ironiche e dissacranti.
“La fontana malata” riprende l’originalità delle posizioni culturali e stilistiche del Palazzeschi. Il tema è decisamente legato al crepuscolarismo: tutta la poesia è costruita sull’immagine della fontana, metafora parodica del canto poetico, proponendo un’idea giocosa della poesia. Del resto, egli stesso affermava che “bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange”. Buon compleanno Palazzeschi, poeta dissacrante e giocoso!

Roberta MaestrelliBerti
Parole che gocciolano, rimbalzano, giocano con l’onomatopeia.. e diventano poesia.

Duccio Mugnai
Proiezione di una malattia interiore, una desolata solitudine divorante l’io, che si spezza in particelle onomatopeiche. Si crea un circuito chiuso tra il poeta, recettore sensitivo, e l’ambiente circostante. Un improvviso baratro di vuoto, in cui il lettore è invitato ad immergersi.

Maria Antonietta Rauti
Il testo di Palazzeschi propone una parodia consapevole de La pioggia nel pineto di D’Annunzio, compiuta per via metrica, oltre che attraverso un’allusione diretta dal v. 26 in poi. La poesia non è un canto dispiegato, trionfale, alla maniera dannunziana, ma un singhiozzo rotto e lamentoso. Direi, quasi un procedere a galoppo, costruendo quadri descrittivi, ma soggettivamente spontanei e colorati con tratti “simpatici”… che rendono il poeta vivo e presente tra i versi.

tristan51
A questa altezza del percorso poetico palazzeschiano la disfunzione provoca dolore e insieme comicità: comicità di superamento rispetto all’iniziale, drammatico e drammaticamente bloccante, dato di partenza della diversità.