VEDI I VIDEO “La serva” , “Un dolce pomeriggio d’inverno” , “Il dormente” , “Vetri”, “Redivivo in Firenze” letta dal poeta, con Giorgio Albertazzi (1977) 

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Firenze 23 gennaio 2019 – Ricorre oggi il 120° anniversario della nascita di Carlo Betocchi. L’Abbazia di San Miniato al Monte in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche Carlo Betocchi celebra in perfetto orario la ricorrenza con una serata dedicata alla poesia del grande poeta fiorentino. Lo fa inserendo nel suo programma del Millenario Tetti del cielo, un testo scenico betocchiano da me firmato, con musiche di Giovan Battista Viotti, affidato alle voci di Fabio Facchini e Laura Piazza.

L’evento avrà inizio alle ore 21. Introdotto dai saluti di Padre Bernardo Francesco Gianni, abate della Basilica di San Miniato, e di Antonia Ida Fontana, Presidente del Centro Studi e Ricerche Carlo Betocchi, Tetti del cielo sarà preceduto da un ricordo del poeta. Un invito a riaccostarsi – nella splendida cornice della Basilica alla quale significativamente si accede attraverso la Porta del Cielo – all’autore di Realtà vince il sogno, L’Estate di San Martino e le Poesie del Sabato, a riascoltare la sua meravigliosa parola poetica secondo la felice immagine-sigla che di lui ci ha dato Andrea Zanzotto: «poeta dei tetti, delle tegole» e insieme «poeta del cielo».

Il tetto come trascendenza a portata d’uomo, emblema di appannaggi umani qualificanti e spiritualmente rivendicabili. Quanti tetti nella poesia di Carlo Betocchi! Dai «poveri tetti» del suo lavoro di geometra già presenti nel libro d’esordio a segnare la ritornante linea di confine tra ciò che ci racchiude e ciò che ci esalta, agli incanti e i miraggi di Tetti toscani e Diarietto invecchiando, al silenzio espressivo del «tetto avvampato di caldo» che compare solitario in Un passo, un altro passo.

Carlo Betocchi con tutta la sua magnifica, stupefacente ispirazione – da poeta «terrestre e celeste», per usare il linguaggio di un altro grande poeta, suo grande amico, Mario Luzi – sull’arduo discrimine in cui l’«io» e il reale in tutta la loro misteriosa complessità si incontrano, s’interrogano, comunicano.

Marco Marchi

La serva

Da me si stacca il segno del silenzio
l’albagia dei padroni, quel rumore
della ricchezza, io estinsi nel silenzio.
Fui serva, dalla culla ebbi il mio cuore.

Come la luna docile seguii
nel corso diurno l’abbaglio del sole
e restai l’ombra glauca che vacilla.
Servii la vita, come chi somiglia

alla vita. E attesi per amore
altre culle e non mie. Silenzio
sulla mia vita imposi, altro silenzio
come di paglia nel mietuto campo.

E chi va a spigolare ora ricordo,
ed i solchi nerastri, col terrore
dell’insinuarsi dove il padrone
vigila, dell’insinuarsi sordo

di quel silenzio pieno di minaccia.
Sfumai su dalla terra, come l’aria
calda di giugno: e chi mi scaccia,
io che son serva, perde il suo silenzio.

Carlo Betocchi

(da Notizie di prosa e di poesia, 1947)

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