Come faccia il virus HIV scoperto nel 1983 a nascondersi dentro le cellule per anni resta un mistero. Le terapie antiretrovirali lo tengono a freno, ma il ritmo dei contagi non si ferma. Paesi come la Russia stanno registrando una ripresa della pandemia, anche se in generale la speranza di vita aumenta.

L’alterazione del sistema immunitario e l’infiammazione cronica possono anticipare i processi di decadimento nei soggetti HIV+ determinando fragilità e suscettibilità a varie malattie, in geriatria si parla di inflammageing o immuno senescenza. In questo contesto si inserisce uno studio che un gruppo italiano dell’Università di Modena e Reggio Emilia, capofila Giovanni Guaraldi, ha presentato sotto forma di poster al CROI di Boston, la conferenza internazionale sui retrovirus e le infezioni opportunistiche. La ricerca mette a fuoco il timo come indicatore di longevità.

Il poster è intitolato Thymus is the barometer of aging in HIV patients associated with metabolic syndrome and fraility. L’indagine ha studiato dimensioni e funzionalità di questa ghiandola linfatica, il timo appunto, che normalmente nella vita adulta si mette a riposo, e nella maturità quasi scompare. E ha trovato che il timo è ancora presente e funzionante nel 19% dei pazienti sopra i cinquant’anni HIV positivi del campione, nei quali ha valutato gli outcome, in particolare la concomitanza con la sindrome metabolica, le fragilità e la longevità.

L’ipotesi di Guaraldi e del gruppo che comprende anche Andrea Cossarizza, Cristina Mussini e altri autori, è che un timo relativamente ben conservato possa entrare in relazione con una minore fragilità e suscettibilità alle infezioni, quindi che questo meccanismo sia cruciale per comprendere più in generale i fenomeni di invecchiamento al fine di contrastarli.

I soggetti controllati, con un livello di linfociti CD4+ sopra quota 350, senza virus circolanti e privi di fattori di rischio, hanno un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale, come ha confermato recentemente anche il presidente Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. In Europa, negli Usa, cresce la componente di pazienti HIV+ sopra i 50 anni, e l’età media di questo gruppo è in continuo aumento.

La ricerca contro l’Aids, sappiamo, è indispensabile per sviluppare nuove linee di cura ancora più efficaci, immunoterapie in grado di prevenire il calo dei linfociti T nelle infezioni e può diventare di pari passo un modello per ottenere progressi in geriatria. La popolazione HIV positiva del mondo sta invecchiando, grazie alle terapie antiretrovirali, ma la longevità parallela a quella della popolazione generale deve fare i conti con una qualità della vita inferiore e prepararsi a fronteggiare complicanze non AIDS-correlate (ad esempio: osteoporosi, deficit cognitivo, sindrome metabolica con aumento del grasso viscerale, patologie a carico del cuore, arterie, fegato e rene).

Gli inconvenienti dipendono dall’attivazione del sistema immune che si osserva nella popolazione anziana non-infetta, denominato inflammageing. Ma perché Guaraldi e gli altri autori dello studio si sono concentrati proprio sul timo e hanno presentato lo studio al CROI? Perché quando questa ghiandola immunitaria si ritira, nell’adulto, la produzione delle cellule T diminuisce, e si riduce la capacità dell’organismo di riconoscere le cellule estranee e difenderci dalle aggressioni. Scoprire i segreti del timo potrà aiutare i medici a mantenere una buona salute non solo nei soggetti affetti da immunodeficenza acquisita, ma più in generale in tutti gli anziani.

Alessandro Malpelo, QN Quotidiano Nazionale