Donne maltrattate, vittime di prepotenze, di molestie. Donne che hanno subito percosse, umiliazioni. Un fenomeno, la violenza di genere, che in Italia l’anno scorso ha registrato 69 vittime di femminicidio, migliaia di accessi al pronto soccorso per traumi fisici e stress psicologici, altrettante richieste di aiuto ai centri antiviolenza. Fatti che, raccontati con le parole sbagliate, possono diventare ancora più drammatici, vista l’eco mediatica che la cronaca nera riserva a questi incresciosi episodi. Per questo illustri esponenti del mondo della medicina, del giornalismo e della giurisprudenza hanno elaborato un programma rivolto all’universo della comunicazione.

Parliamo di un corso dell’Ordine dei Giornalisti realizzato con il supporto non condizionante di Menarini, intitolato “Stop alle violenze di genere: formare per fermare”, l’ultima edizione si è tenuta a Bologna. “Le parole possono contribuire a cambiare azioni e atteggiamenti delle nuove generazioni, possono cambiare lo sguardo degli uomini sulle donne”, sostiene Maria Emilia Bonaccorso, caporedattore Ansa medicina e sanità. Ma sbagliare il linguaggio può rafforzare pregiudizi, stereotipi, causando altro dolore alle vittime. “La responsabilità dei media è enorme”, sottolinea da parte sua Laura Berti, giornalista conduttrice Rai, Tg2 Medicina 33, “ogni singola parola può dare la voce a migliaia di donne o spegnerla per sempre”. L’iniziativa vuole accendere la consapevolezza sul problema e aiutare gli specialisti dell’informazione a trovare sempre i termini appropriati.

“Trovare le parole giuste per trattare un tema tanto delicato, che rispettino le donne e non le colpevolizzino, è indispensabile – afferma Danila Pescina, psicoterapeuta e criminologa – Tra le parole sbagliate più comuni, raptus e follia: nessun delitto di questa risma avviene all’improvviso, ma è l’esito di un’escalation di violenza che non è stata fermata in tempo o intercettata” .

“La violenza di genere ci riguarda ed è trasversale a tutte le culture, le classi sociali, le etnie e le religioni”, osserva Alessandra Kustermann, responsabile del pronto soccorso ostetrico-ginecologico del Policlinico di Milano e del centro antiviolenza collegato alla clinica Mangiagalli. “Mariti e compagni sono nel 70% dei casi gli autori della violenza”.

“Le vittime si sentono giudicate, scaraventate sul banco degli imputati – afferma infine Vincenzo Mastronardi, criminologo psichiatra – violate nel loro pudore. Le parole, specialmente nei titoli, vanno soppesate con estrema delicatezza, pur nel rispetto del diritto di cronaca, perché la lettura morbosa dei fatti può avere conseguenze serie sulle vittime”.