Seimila donne ogni anno in Italia. Tante sono quelle che scoprono di avere un nodulo alla mammella particolarmente difficile da trattare. Parliamo delle forme infiltranti di tumore al seno (carcinoma mammario) che si propagano con rapidità. Anche quando le cose prendono una brutta piega si possono nutrire speranze. Lo dicono i risultati degli studi di fase III presentati al congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco), in particolare quelli riguardanti l’immunoterapico atezolizumab in associazione alla chemioterapia per il trattamento iniziale (in prima linea) delle pazienti con tumore al seno detto triplo-negativo localmente avanzato non resecabile chirurgicamente, oppure con metastasi.

Questi dati sanciscono il successo della prima immunoterapia nel carcinoma mammario, confermandone l’efficacia nel trattamento delle forme positive al recettore PD-L1. Inoltre, nel carcinoma mammario HER2-positivo, sono stati presentati i risultati di Cleopatra, studio di fase III al quale partecipano anche centri italiani, riguardanti sicurezza ed efficacia a lungo termine di pertuzumab associato a trastuzumab e alla chemioterapia con docetaxel nelle pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo.

Luca Gianni, direttore dell’Oncologia medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, intevenuto all’Asco, ha dichiarato che finora “le donne sopravvissute con un tumore al seno HER2 positivo metastatico si contavano sulle dita di una mano, non superavano il 5%, ma adesso, come dimostra lo studio, sono oltre un terzo (37%) vive dopo 8-10 anni, e svolgono una vita normale grazie alla somministrazione dei due anticorpi”.

Anche per le donne con tumore al seno metastatico triplo negativo positive al marcatore PD-L1 la combinazione chemio immunoterapia ha dato netti miglioramenti, con un 51% di pazienti vive a due anni, risultati comprovati dallo studio Impassion 130.

“La strategia di puntare al bersaglio con terapie mirate per le mutazioni genetiche si sta dimostrando azzeccata”, conclude il direttore dell’Oncologia medica dell’ospedale San Raffaele di Milano. “Mai prima d’ora – rimarca Luca Gianni – avevamo visto donne svolgere una vita normale dieci anni dopo una diagnosi infausta di cancro alla mammella. Capita anche di vedere pazienti che non vogliono più sospendere le cure perché sono ben tollerate e trasmettono un senso di protezione, effetto coperta di Linus, che rassicura”.

Alessandro Malpelo

QN Quotidiano Nazionale

Salute Benessere