La settimana dei Nobel è iniziata ieri con l’annuncio che la scoperta dell’anno risiede nel cervello, e l’ambito premio è andato agli scienziati che hanno localizzato l’antenna satellitare che tutti possediamo dentro la scatola cranica, un sofisticato meccanismo che aiuta a orientarsi nello spazio creando delle mappe mentali dei luoghi che abbiamo esplorato intorno a noi.

Ma ogni giorno porta in dote nuove scoperte, e la notizia di oggi è  la ricerca del Dipartimento di medicina molecolare dell’Università di Siena, finanziata dalla Fondazione Telethon, che ha individuato un gene in grado di controllare la contrazione dei muscoli, un interruttore che in futuro potrebbe essere utilizzato per sbloccare e rimettere in moto un meccanismo inceppato. Gli studiosi hanno trovato la prima mutazione del gene calsequestrina 1, in pazienti affetti da una forma di miopatia, malattia genetica rara del muscolo scheletrico, che nei soggetti colpiti provoca difficoltà nello svolgere le semplici azioni quotidiane, come ad esempio muoversi o camminare. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Human Mutation.

Abbiamo trovato mutazioni in questo gene in otto pazienti colpiti da una miopatia muscolare – spiega Vincenzo Sorrentino, ordinario di Istologia ed Embriologia all’Università di Siena, Policlinico Le Scotte –  in seguito abbiamo anche espresso la proteina in modelli animali riproducendone il meccanismo di funzionamento. Il prossimo obiettivo sarà individuare molecole candidate a diventare possibili farmaci in grado di ripristinare il corretto funzionamento del gene difettoso.

Parlando di muscoli, altra notizia passata un po’ in sordina alla fine di agosto è uno studio finanziato da Telethon che ha permesso per la prima volta al mondo di sperimentare una nuova terapia per la malattia di Pompe, una patologia genetica rara detta glicogenosi II, caratterizzata dall’accumulo nelle cellule di un particolare tipo di zucchero, il glicogeno, che provoca danni al cuore e ai muscoli scheletrici di gambe, braccia e cassa toracica con effetti devastanti nelle forme gravi, più diffuse nell’infanzia. La malattia nasce da un difetto genetico che determina nelle persone colpite l’assenza o il mancato funzionamento dell’enzima incaricato di smaltire il glicogeno nelle cellule.

Ricercatori dell’Università Federico II di Napoli e del Tigem, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina, hanno associato all’unica terapia oggi disponibile, che consiste nell’iniezione nei pazienti di una versione corretta dell’enzima che in loro è difettoso, la somministrazione di un farmaco già in commercio, il miglustat. L’obiettivo era rafforzare l’azione dell’enzima sostitutivo somministrato ai pazienti. Quest’ultimo, infatti, realizzato in laboratorio grazie all’utilizzo delle biotecnologie, è molto efficace all’interno delle cellule del cuore, ma in diversi casi non riesce a ottenere risultati soddisfacenti sui muscoli che sostengono gambe, braccia e sui muscoli respiratori. Lo studio ha dimostrato che è possibile migliorare la terapia oggi in uso e renderla più efficace su questi muscoli di vitale importanza per l’organismo umano.

La glicogenosi di tipo II si trasmette dai genitori portatori sani del difetto genetico (spesso non sanno di averlo), mentre ciascun figlio della coppia ha il 25 per cento di probabilità di essere malato. Grazie a Genzyme, azienda biotech, dal 2006 è disponibile anche in Italia, una terapia enzimatica sostitutiva con Myozyme (alglucosidasi alfa), la prima e unica terapia attualmente approvata. La terapia enzimatica sostitutiva prolunga in modo significativo la sopravvivenza del bambino affetto dalla forma classica, riduce significativamente la cardiomiopatia ed è dimostrato che risulta più efficace se somministrata in uno stadio iniziale della malattia di Pompe.

Alessandro Malpelo

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